Alitalia, ecco quelli che hanno rifiutato la Cai
L'elenco ufficialmente non esiste ma il presidente del Consiglio e i suoi più stretti collaboratori, che hanno lavorato per molte settimane alla costruzione della Cai prima che l'incarico fosse affidato a Banca Intesa, difficilmente riusciranno a dimenticarlo. Secondo quanto Il Tempo è riuscito a ricostruire tra gli imprenditori avvicinati direttamente o indirettamente dagli amici e dai collaboratori del premier, magari anche solo con una battuta per saggiarne la disponibilità, ci sarebbero alcuni degli uomini più ricchi d'Italia come il patron della Geox, Mario Moretti Polegato, il numero uno di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, il proprietario della Cir, Carlo De Benedetti e il re delle costruzioni Francesco Gaetano Caltagirone (anche se famiglia di quest'ultimo ha dato il suo contributo al salvataggio di Alitalia grazie alla partecipazione in Cai di Francesco Bellavista Caltagirone). Al loro fianco nel rifiuto di imbarcarsi nella Compagnia Aeronautica Italiana guidata da Roberto Colaninno, ci sarebbe il finanziere Stefano Pessina, di Alliance Boots e l'ex azionista di controllo di Fastweb, Silvio Scaglia, oltre al numero uno della Italcementi, Giampiero Pesenti e al patron della Tod's Diego Della Valle. Gli emissari del premier si sono sentiti dare le giustificazioni più svariate, dal «non ho disponibilità» al «mi metterebbe in difficoltà con la mia parte politica», ma c'è stato anche chi ha semplicemente detto che l'investimento in Alitalia non rientrava nel suo business. Fuori dalla partita sembrerebbe siano voluti rimanere anche il re dei divani, Pasquale Natuzzi e i petrolieri della Erg e della Saras, rispettivamente Garrone e Moratti. Giuseppe Scairrone e Gianni Punzo avrebbero invece desistito dall'avventura Alitalia perché si stavano per buttare nell'alta velocità con la Ntv di Luca Cordero di Montezemolo. Gli uomini di Ermolli avrebbero contattato anche la finanziaria di casa Agnelli, la Ifil, per proporre l'affare e il nipote dell'Avvocato, Lupo Rattazzi, attualmente presidente della compagnia aerea Neos e novello consigliere di amministrazione della potente banca Finnat. Dello storico gruppo di imprenditori vicini al Cavaliere avrebbero disertato anche il finanziere Francesco Micheli, il senatore Francesco Casoli di Elica e il patron del Fondo Clessidra, Claudio Sposito, anche se quest'ultimo in un primo momento si era detto disponibile a fare l'investimento ma alla fine sarebbe stato fermato dai suoi soci perché l'operazione non avrebbe i parametri di redditività previsti per l'intervento del suo fondo. L'intervento di Clessidra potrebbe però tornare in discussione nei prossimi giorni insieme a quello del fondatore di Technogym, Nerio Alessandri, il quale al momento sarebbe tra coloro che hanno respinto l'invito di Ermolli a scommettere sulla nuova Alitalia, ma di cui non è ancora definitivamente esclusa la partecipazione. Tra gli altri imprenditori che avrebbero respinto le sollecitazioni del premier a entrare nel capitale della Cai ci sarebbero l'inventore del Cepu, Francesco Polidori, e gli storici fondatori del gruppo Esselunga, Bernardo Caprotti e Marco Brunelli. Irremovibili nel dimostrare il proprio disinteresse al business proposto dagli emissari del presidente del Consiglio ci sarebbero l'industriale degli elettrodomestici a marchio Indesit, Vittorio Merloni, il parton della Diesel, Renzo Rosso, e Guido Grimaldi dell'omonima compagnia di navigazione partenopea. Fra gli assenti ci sarebbe il gruppo Barilla e il numero uno di Tenaris, Giorgio Rocca, che ha in programma per il 2009 un piano di investimenti da 400 milioni di dollari e visti i tempi che corrono vorrebbe evitare di fare il passo più lungo della gamba in un settore a lui del tutto sconosciuto. Inoltre sarebbe stato contattato anche il costruttore romano, vicino a Massimo D'Alema, Alfio Marchini, ma senza successo. Adesso bisognerà vedere chi avrà avuto ragione, se quegli imprenditori che hanno accettato di entrare nella cordata per il salvataggio di Alitalia, per vantare un credito nei confronti del Cavaliere magari da spendere per lo sviluppo dei loro business tradizionali, come Benetton, Gavio, Ligresi, Bellavista Caltagirone, Aponte e gli altri soci della Cai, o quelli che si sono tirati fuori dalla partita per le ragioni più diverse. Quel che è certo è che in questo periodo di crisi dei mercati, che da un lato suggerisce la prudenza negli investimenti e dall'altro conferisce un valore inestimabile al buon feeling con Palazzo Chigi, la proposta di Ermolli ha messo molti industriali davanti a un dubbio amletico e chissà che qualcuno non ci ripensi prima che l'aumento di capitale della Cai non sia interamente sottoscritto.