Maurizio Gallo m.gallo@iltempo.it Ieri è stata la ...

Ma le speranze che la situazione si sblocchi sono remote per il veto della maggioranza sul nome di Leoluca Orlando. In questi 160 giorni sulla questione sono state sprecate tonnellate d'inchiostro, occupati centinaia di preziosi minuti di tele e radiogiornali, sollevate numerose e sterili polemiche. Tutti i politici, da un lato all'altro dell'arco costituzionale, dichiarano quotidianamente che la politica deve restare fuori dal servizio pubblico. Eppure la Commissione rappresenta un parlamento in miniatura che riproduce nei minimi particolari i difetti di Camera e Senato. Non solo. La sua funzione «principe» è, sostanzialmente, di moral suasion, cioè di indirizzo. Non può imporre sanzioni, come fa l'Agenzia per le comunicazioni. E così, puntualmente, i suoi «consigli» vengono ignorati. Ma allora perché non abolirla? Può sembrare una provocazione. Non lo è. Negli ultimi anni esponenti del centrodestra e del centrosinistra hanno avanzato questa proposta. Che, però, si è risolta con un nulla di fatto, un po' come le decisioni dell'organo di vigilanza. D'altra parte è sufficiente scorrere i giornali per rendersi conto della quasi totale inutilità della struttura nata copn la legge 103/1975 con l'obiettivo di consentire al parlamento di vigilare e indirizzare l'attività radiotelevisiva fondamentale per il funzionamento di una democrazia. Altri scopi dovrebbero essere di assicurare la presenza sul piccolo schermo di tutte le voci presenti nella società, dei loro interessi e valori, garantire la par condicio (che pure si vorrebbe eliminare) in campagna elettorale e far rispettare il pluralismo nei programmi Rai. Con la legge Gasparri, poi, la Commissione ha anche la responsabilità di nominare quattro consiglieri di maggioranza e tre di opposizione prima scelti dai presidenti delle due Camere. Anche questo un ruolo eminentemente politico. Insomma, in teoria, un senso il parlamentino radiotelevisivo ce l'avrebbe pure. In realtà, basta fare qualche esempio per rendersi conto del contrario. Il più recente: nell'ottobre 2007 la Commissione «sfiduciò» all'unanimità il presidente del servizio pubblico Petruccioli, chiedendone le immediate dimissioni. Un anno dopo Petruccioli è ancora ben saldo sulla sua poltrona. Nel '97 venne preparata una «carta» in 15 punti per modificare radicalmente la figura della donna in tv e per dire «basta» alle vallette belle e solo «coreografiche» e alla mercificazione del corpo femminile. Vi risulta che in questi dieci anni sia cambiato qualcosa? Nel settembre del '95, infine, ci si propose di stabilire le modalità con le quali la Rai avrebbe dovuto seguire il processo Andreotti. Dopo ore e ore di discussioni la vigilanza non riuscì a decidere assolutamente niente. Si potrebbe andare avanti a lungo. E si rafforzerebbe così l'impressione che l'esistenza della Commissione ha poco senso. A chiederne la riforma o la cancellazione sono stati in molti. Il dc Andrea Borri, che ne fu presidente dal'87 al '92, voleva modificarla perchè «troppo rissosa». Nel '95 il senatore di Forza Italia Sergio Stanzani dichiarò: «Mi batterò in tutti i modi per l'abolizione di questa inqualificabile commissione». Proposta avanzata l'anno precedente dal suo collega di partito Gianni Pilo e dal «verde» Franco Corleone poiché «la sua ragion d'essere» corrispondeva all'«incesto giuridico-legislativo entro cui» operava «il servizio pubblico». Sempre nel '94, Casini (allora leader Ccd) la considerava «l'ultima eredità della peggiore stagione consociativa». Marco Taradash, anche lui mentre era presidente, voleva sostiturila con «un'autorità esterna indipendente». Massimo D'Alema, da segretario Pds, motivava la sua richiesta con il fatto che era «una forma di pressione politica sulla Rai». E la scorsa primavera, sia l'Idv Beppe Giulietti che Marco Follini, del Pd, proposero di presentare una proposta di legge per la sua cancellazione. Perché allora non procedere?