«Rischio di opa estera sull'agroalimentare»
Significa aumentare la quota delle importazioni, già molto elevata». A lanciare l'allarme è il presidente della Confagricoltura Federico Vecchioni. Le imprese del sistema agroalimentare, la maggior parte di piccole e medie dimensioni, stanno soffrendo per la mancanza di liquidità. Cosa è cambiato nel rapporto con le banche da questa crisi finanziaria? «Le nostre imprese sono state costrette a rivedere il piano degli investimenti. Le banche hanno cambiato le condizioni di concessione del credito. Inoltre il differenziale dell'Euribor rispetto al tasso di sconto è stato rivisto al rialzo. A questo si aggiunge l'allungamento dei tempi di erogazione dei prestiti. La dilazione, in molti casi, si sta rivelando permanente. Non ci sono più certezze e anche le operazioni di rinegoziazione sono in molti casi in stand by. Ci sono imprese che attendono da mesi un prestito, altre che avendo operazioni in corso si sono viste cambiare al'improvviso le condizioni. Si è partiti da un Euribor +1% per arrivare a +3% e fino a +5%». In quali regioni la situazione è più critica? «Il fenomeno è generalizzato. Ma se si considera l'entità degli investimenti la situazione è più critica al centro-nord. È lì che sono concentrati gli investimenti». Non c'è anche un problema di capitalizzazione delle aziende? «No, le imprese agricole non hanno il problema delle garanzie reali ma dei tempi della remunerazione del capitale investito dal momento che l'investimento agricolo è di lungo periodo». C'è il rischio di chiusure di aziende? «Al momento no». E di un ridimensionamento delle imprese? «Sì questo pericolo c'è». Quali settori potrebbero risentire di più della crisi? «Il comparto zootecnico, cioè carni, salumi e prosciutti. Ma anche una parte del vitivinicolo e l'ortofrutticolo. Cioè dove si è verificata la verticalizzazione più spinta, dove l'impresa agricola ha cercato di affiancare alla produzione, la trasformazione e la commercializzazione». Ci potrebbero essere ricadute occupazionali? «Più che la perdita di posti di lavoro ci potrebbe essere uno stop alla creazione di nuovi posti e quindi alla crescita del settore agroalimentare». Come stanno reagendo le imprese? «C'è un momento di stand by preoccupante. Gli investimenti sono congelati. Vedremo anche nei prossimi mesi cosa succederà». Che conseguenze ci saranno sui consumatori? «Al momento non c'è un aumento dei prezzi. Semmai c'è un calo dei consumi che si stanno riposizionando su una fascia di prodotto di qualità più standardizzata e quindi meno costoso. Si preferiscono i prodotti di gamma medio bassa. Non solo. Se la produzione nazionale avrà una battuta d'arresto ci potrebbe essere una maggiore dipendenza dall'estero. Già per oltre il 50% delle produzioni alimentari, escluso l'ortofrutta, siamo dipendenti dall'estero. Questa percentuale potrebbe salire. Il rischio è di avere fluttuazioni di costi». A quali misure sate pensando per far fronte alla crisi? «Stiamo lavorando sul contenimento dei costi organizzando meglio i produttori sull'acquisto dei mezzi tecnici. Al governo abbiamo chiesto un aleggerimento della burocrazia e agevolazioni al credito per chi fa investimenti».