È solo la solita protervia intellettuale degli eredi del Pci ...
L'Italia soffre di molti problemi, la maggior parte dei quali si trascina senza soluzione da decenni. In un ventennio - dal 1948 al 1969 - una Nazione uscita sconfitta dalla guerra in cui l'aveva spinta la dittatura, era riuscita a realizzare una rivoluzione: entrare a far parte dei sette paesi più industrializzati del mondo e creare e distribuire ricchezza con una velocità e un'ampiezza inimmaginabili. Un Paese povero di materie prime era salito in cima alle classifiche mondiali, conquistando la leadership in una serie di importantissimi settori. La Montecatini era in testa nella chimica grazie ai ricercatori del Politecnico di Milano capitanati dal premio Nobel Giulio Natta. Eravamo in testa nell'elettronica con la Olivetti di Adriano Olivetti, e la ricerca universitaria aveva creato, col progetto Elea, il primo computer portatile del mondo. Eravamo in testa nel nucleare, grazie all'attività di Felice Ippolito ed alla scuola dei fisici creata da Enrico Fermi. Eravamo in testa nel farmaco con la Lepetit e la Farmitalia, nella siderurgia, nella progettistica, nella cantieristica, nell'aerospazio, nell'auto. Avevamo creato quasi dal nulla, senza avere nemmeno un pozzo, una delle prime compagnie petrolifere mondiali, l'Eni. Con Enel, Sip e Rai avevamo portato energia elettrica, telefono e lingua italiana in ogni casa. Avevamo realizzato quella che è stata a lungo la più lunga e ramificata rete autostradale d'Europa. L'Alitalia era il nostro miglior biglietto da visita nel mondo. La pubblica amministrazione era relativamente efficiente, ma sopratutto non ostacolava l'attività economica e lo sviluppo. La pressione fiscale era al 25%, l'evasione un fenomeno marginale, il debito pubblico molto inferiore al Pil, la burocrazia non soffocava il cittadino. Non che allora mancassero i problemi, primo tra tutti il ritardo del Sud che aveva spinto milioni di persone ad emigrare al Nord. Molto superiori erano, però, le opportunità. Poi sono venuti gravi errori di politica industriale, la stagione politica e sindacale del 1968-1969 che diffuse come un virus una cultura pauperistica ed antindustriale, consolidatasi poi nel tempo. In quegli anni una classe politica irresponsabile, succube di quella cultura, per mantenere il potere iniziò a usare lo Stato per creare posti di lavoro fittizi: scuola, poste, ferrovie, pubblica amministrazione divennero impropri ammortizzatori sociali. Nacque allora la "stagione dei diritti": casa, titolo di studio, lavoro, carriera, benessere, vacanze, pensione di gioventù, farmaci (non salute) dovevano essere assicurati comunque a tutti dallo Stato. Grazie a questa ideologia in venticinque anni - dal 1969 al 1994 - è stata distrutta la grande impresa, accumulato il terzo debito pubblico del mondo e insieme raddoppiata la pressione fiscale; lo sviluppo delle infrastrutture è stato paralizzato, la scuola e l'università sono finite in fondo alle classifiche internazionali; l'etica del lavoro e del merito sono state annientate e disoccupazione e criminalità al Sud sono cresciute. E innumerevoli altri sono gli avvelenati frutti del "sinistrismo reale". C'è però un'Italia che da quindici anni cerca di uscire da questo disastro ed è in larga maggioranza avversa alla sinistra politica e sindacale. Perché la verità, caro Veltroni, è che l'Italia è migliore, molto migliore, della sinistra che l'ha distrutta.