In piazza trascinati dal passaparola

Una folla multicolore e multietà, variopinta, vociante, appassionata, tutta contro il decreto sulla scuola voluto dal governo. Una partecipazione di «fede», salda sul passaparola, ma non su una lettura, almeno minima, del testo tanto odiato. Questa l'impressione stando fra gli studenti che ieri hanno preso d'assedio il Senato. Una manifestazione (6-7000 partecipanti per le forse dell'ordine) partita poco dopo le 15 dall'Università la Sapienza e che, arrivata a piazza Navona, si è dovuta fermare davanti al «muro» di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza che hanno impedito al corteo di raggiungere Palazzo Madama, dove, proprio in questi giorni, si sta discutendo il decreto Gelmini. A quel punto la Corsia Agonale, stretto passaggio da piazza Navona a corso Rinascimento, è più piena di un autobus nell'ora di punta. «Chi non salta è la Gelmini» urlano e tutti, naturalmente, spiccano il volo. Alle 18.15 arriva un gruppo piuttosto numeroso. Gli animi si riscaldano. In testa al nuovo corteo uno striscione rosso: «Polizia: li difendiamo noi i diritti dei vostri figli». La calca è grande, fa un caldo tremendo sotto gli stretti portici del viottolo. «Premi, premi», dice un ragazzino ai primi trenta che fronteggiano le barriere presidiate dalla polizia. Ci si sente in trappola, pressati al massimo, qualcuno deve aver vomitato, il puzzo è terribile. Chi sfugge alla calca si rifugia in piazza cove c'è più calma e aria. La gente parla, siede a terra, sulle panchine in travertino, ai bordi dei marciapiedi o sta in piedi a urlare altri slogan non appena chi sta in prima fila dà il via. Una signora, incinta, indossa un cartello: «La mia scuola dice no all'Entero-Gelmini che distrugge la Flora scolastica». «Sono preoccupata per una scuola in cui viene tagliata la didattica e il tempo pieno va a decadere - dice Barbara, madre di un bambino che frequenta una elementare nel quartiere romano di Colli Aniene -. Avremo insegnanti unici tuttologi e, se ci sarà il doposcuola, questo sarà trasformato in parcheggio; la ludoteca non basta». Parte un altro coro e non si sente nient'altro che «Siete tutti pregiudicati» urlato all'indirizzo del Senato. E poi giù fischi verso qualcuno che si è affacciato da Palazzo Madama. «Che bello ragà, è la prima volta che faccio una cosa del genere - urla una ragazzina di appena 18 anni circondata da coetanei -. La mia prima manifestazione. La dobbiamo rifà». Ha letto il testo del decreto Gelmini? «Che c'è da leggere? Lo dicono tutti, mica s'inventano le cose. Berlusconi deve andare a casa!» Il passaparola ha più forza della parola scritta. In tanti sono eccitati, felici e nulla più. Non c'è bisogno di leggere, basta seguire il branco e tutto si trasforma in un'esperienza meravigliosa. Ricominciano i cori, «mafiosi», «vergogna» e piovono insulti per il presidente del Consiglio. «Amiamo troppo la scuola. Le abbiamo dedicato tutta una vita e adesso non possiamo tollerare quest'offesa - sottolinea con più consapevolezza Lietta, una delle insegnanti della scuola Moscati alla Garbatella, presenti alla manifestazione -. Un taglio di ore e risorse assurdi, ho ben letto il decreto. Siamo persone che abbiamo fatto tanto. Personalmente ho anche insegnato teatro per 50 ore venendo pagata per sole 5. Non si può dire che non ci siamo sacrificate e dedicate anche senza pensare al guadagno. Adesso ci si deve rispetto». La massa si muove, «Andiamo dall'altra parte» dice un ragazzo ad altri coetanei. In quasi cento girano per corso Rinascimento e si fermano davanti a un cordone di poliziotti. A turno in tre usano il megafono: «Se ci bloccano il futuro, blocchiamo la città. Questa è la risposta dell'università». Intanto, dietro ai dimostranti, quasi defilata, una trentenne bionda, impermeabile chiaro e zainetto vintage dice a un'amica: «Quanto sono fiacchi 'sti ragazzi. Adesso li aizzo io». E parte verso le prime file, ma non la sentono. Gli universitari hanno già deciso di tornare indietro e complicare la vita agli automobilisti romani nel percorso di ritorno agli atenei.