Il prodiano Clò con Silvio: «Giusto, serve flessibilità»

«Si rischia di addossare all'Europa un onere gigantesco che la stessa Commissione quantifica in una cifra vicina ai 920 miliardi di euro. Una follia in un momento come questo» spiega a Il Tempo, Alberto Clò, consigliere di amministrazione dell'Eni, presidente del Centro Studi Rie ed ex ministro dell'Industria nel governo Dini (centrosinistra) e vicino all'ex premier Prodi. Dov'è l'irragionevolezza? «È un momento in cui la crisi delle Borse ha fiaccato le imprese e l'Europa che fa: prende decisioni con cui si vincola al raggiungimento di questi obiettivi. Non solo. Chi non li raggiunge sarà soggetto a sanzioni». Senza multe in pochi si adeguerebbero «Già. Ma gli obiettivi del pacchetto sono stati presi con una scelta politica nel marzo del 2007. Per questo non ci si rese subito conto di cosa avrebbe effettivamente comportato. Le cose poi sono molto cambiate. Allora il prezzo del barile era intorno ai 60 dollari. Oggi soprattutto c'è una crisi devastante dell'economia. Non c'è più facilità di accesso al credito. Come si fa a dire alle imprese investite per ridurre le emissioni». Cosa serve allora? «Ci deve essere una maggiore flessibilità nell'applicazione. Anche perché i risultati finali non è detto che siano così sicuri. Se l'accordo fosse operativo e si riuscisse nello sforzo titanico di ridurre le emissioni del 20% il risultato sarebbe marginale». Perché «Fatto 100 le emissioni totali del pianeta, 95 vengono dalla Cina e dai paesi emergenti. Il discorso del taglio delle emissioni va allargato anche a queste nazioni e soprattutto agli Usa. Lì occorre aspettare le elezioni presidenziali perché entrambi i candidati hanno soluzioni diverse per combattere l'effetto serra. Poi bisogna cercare di portare a casa un accordo globale nel G8 del prossimo anno del quale, tra l'altro, l'Italia avrà la presidenza». Ma perché i grandi paesi Ue continuano a sostenere la validità dell'impianto del pacchetto? «Semplice. L'impostazione di questo accordo vede l'Italia penalizzata enormemente nei confronti di altri Paesi». In che senso? «L'Italia è più efficiente della Germania in termini energetici e carbonici eppure deve pagare un costo due volte e mezzo superiore a quello imposto ai tedeschi». In termini di risorse. Che significa? «In base di dati dell'eurocommissario Dimas il costo aggiuntivo per il sistema Italia è di 181 miliardi di euro pari all'1,14% del Pil. La Germania spenderà solo 121 miliardi e cioè lo 0,52% della sua ricchezza. Posto che l'Italia non inquina più della Germania è chiaro che ai tedeschi un'impostazione del genere va bene». Dunque? «C'è un problema di riequilibrio all'interno dell'Ue per gli interessi nazionali italiani». Va bene ma qualcuno in Italia avrà avallato queste decisioni? «Per ammortizzare i Pecoraro Scanio che hanno governato l'ambiente in Italia ci vorranno anni. Siamo l'unico Paese al mondo che dà ancora spazio alle teorie di Rifkin sull'idrogeno. Che non sono economicamente sostenibili. Speriamo che quel periodo passi presto». È giusta dunque l'opposizione al pacchetto da parte del Governo italiano? «Se vediamo l'elenco dei 27 Paesi che devono approvare il pacchetto l'Italia è il Paese che deve sopportare i costi più alti. Non c'è nessuna ragione al mondo per sostenere questo sforzo».