Prestigiacomo: "Ci vogliono penalizzare ma l'Italia inquina meno"
Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, l’Europa vuole confermare gli obiettivi della direttiva 20-20-20 sulle emissioni di Co2. «Per questo pacchetto non è stato mai aperto un vero negoziato. Il testo non è stato mai discusso nel merito, specie con riferimento ai costi di ogni Paese. È chiaro che noi non ci dissociamo dagli obiettivi che si vogliono raggiungere, ma il pacchetto del 20-20-20, così impostato, ha un impatto pesantissimo sull’economia». Un negoziato che questo governo eredita dal precedente. «Il governo precedente è stato completamente assente, non ha tenuto in considerazione i problemi dell’Italia e del suo sistema industriale. Noi siamo veramente preoccupati, vogliamo rispettare gli obiettivi ma ci sembra saggio dire che l’Italia è in difficoltà su questi provvedimenti. Anche perché siamo nettamente penalizzati. Ci sono Paesi che inquinano molto di più del nostro e devono perseguire obiettivi più facili da raggiungere: non è un criterio che ci aiuta». 180 miliardi è il costo del progetto. Sulle spalle dichi? Solo delle imprese? «Questi costi si traducono in costi per i cittadini. La nostra economia si basa sulle capacità delle imprese e in questa fase recessiva, di crisi economica, non si può non valutare il pacchetto senza tenere conto del contesto in cui è inserito. Gli ambientalisti, quando difendono pregiudizionalmente le proposte Ue, sono autoreferenziali. La politica dell’ambiente va inserita nel contesto». Martedì lei ha avuto un incontro a Varsavia e ieri la Polonia ha espresso il suo fermo no. Cosa vi siete detti? «Hanno indicato le nostre stesse riserve a riguardo e per la prima volta abbiamo riscontrato un’attenzione nei conronti delle nostre esigenze. Oggi (ieri, ndr) la Polonia e i Paesi dell’Est hanno espresso la loro opinione sul pacchetto che si allinea alla nostra. Chiediamo più tempo ma soprattutto più partecipazione ai negoziati». Ministro, i Paesi che preferiscono rivedere il testo ora non sono pochi. «Infatti questo pacchetto non è condiviso da tutti e non è possibile andare avanti in maniera miope. Queste modalità noi non le condividiamo». Berlusconi, ancora ieri pomeriggio, prevedeva che il Consiglio europeo potesse avere una certa «souplesse» rispetto al pacchetto. Non abbiamo avuto la dovuta udienza? «L’Italia verrà ascoltata perché il presidente Berlusconi conosce bene il problema ed è vicino al mondo industriale. Noi andiamo lì ad affrontare la discussione su più punti con me, Frattini, Ronchi e Scajola. L’Ue deve essere responsabile». Anche l’opposizione sta virando, sembra tenere una linea più morbida. «All’interno nel Pd assistiamo a un ripensamento. Un fenomeno che in parte tocca alcuni ambientalisti ed esponenti dell’Idv: non ci sono più posizioni di estremo contrasto». La spinta dell’Ue per approvare il pacchetto a chi giova? «Guardi, con le misure a favore del clima non si rimette in moto la crescita, e ora i cittadini vogliono ripartire. I Paesi devono salvaguardare l’economia reale». Ma, costi a parte, gli italiani che benefici avrebbero dal piano? «L’innalzamento della temperatura è un problema globale e la risposta dovrebbe essere globale. Se così fosse, i risultati sarebbero positivi. Ma non ci seguono i grandi Paesi in via di sviluppo come Usa, Cina e India. Allora, se centrando gli obiettivi dell’Ue la riduzione del gas serra è solo del 2 per cento a livello mondiale, bisogna chiedersi se è un bene pagare ora un costo così alto. E il pacchetto clima ed energia non è la nostra unica preoccupazione, mi creda». Prego? «Adesso toccherà al pacchetto auto». Un’altra beffa? «L’obiettivo dell’Ue è produrre auto che inquinano meno. Ma il paradosso vuole che il testo finisce per penalizzare le industrie italiane che producono le utilitarie e in realtà inquinano meno, mentre chi in altri Paesi produce macchine grandi ha condizioni più vantaggiose. E noi non ci stiamo. La prossima settimana discuteremo proprio questo a Lussemburgo. Sarà la nostra prossima battaglia. D’ora in poi non accettiamo più pacchetti chiusi».