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Giuseppe De Filippi Alessandro Profumo, amministratore ...

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In questi giorni ha sovvertito una delle regole fondamentali del suo mestiere ed è venuto meno a una norma di comportamento che aveva sempre osservato (quando le cose andavano bene), cioè alla norma che prescrive di indicare i propri obiettivi, di prendere impegni per raggiungerli e poi di mantenersi agganciato a quegli impegni. Pochi giorni fa, mentre continuava a negare la gravità della situazione della banca da lui guidata è andato contro il comune sentire del mercato, ripetendo, più volte, che il suo gruppo non lamentava alcuna criticità sostanziale e che non ci sarebbe stato bisogno di un aumento di capitale. Aveva anche aggiunto che le condizioni della cassa e del patrimonio non destavano preoccupazioni, dal momento che si sarebbe potuto affrontare i mesi fino alla fine dell'anno senza dover ricorrere a forme di sostengo esterno. Poi, a partire dal fine settimana e dalla riunione del consiglio di amministrazione in cui i soci hanno cominciato a chiedere conto delle condizioni della banca con particolare veemenza, sono cominciate precisazioni. Fino ad arrivare a marce indietro vere e proprie rispetto alle prima baldanzose dichiarazioni. Profumo ha tentato, abilmente, di condire la rassegna di tutti i suoi errori con la eccezionalità assoluta della situazione di questi giorni. «Siamo nel pieno di una crisi che non ha precedenti dal 1929», ha detto come premessa al suo ragionamento. Per poi dire che in questa temperie le banche hanno «maggior bisogno di capitale». Non proprio tutte le banche, verrebbe da dire, ma certamente la sua. E tutto ciò malgrado il banchiere abbia negato ancora pochi giorno orsono la necessità di procedere a un aumento di capitale (salvo poi votarne uno mascherato attraverso il passaggio del conferimento in azioni del dividendo ai soci). Ancora Profumo ieri è ricorso al plurale per dire che «abbiamo sottovalutato le condizioni del mercato». È comprensibile e certamente giustificabile in un caso come questo la chiamata in correo, ma non sembra particolarmente elegante per un capo-azienda che si è sempre distinto per la capacità e la volontà di prendere decisioni in piena autonomia. I soci di Unicredit comunque sembrano tuttora soddisfatti dell'operato del loro amministratore delegato. Le fondazioni hanno confermato che parteciperanno al piano di ricapitalizzazione e vendita di alcuni pezzi del patrimonio, mentre anche dalle casse socie di Unicredit è venuto un via libera. Questo ufficialmente (che è la parte importante, certamente), ma dalle tante riunioni che in questi giorni si sono tenute tra i soci della banca di Piazza Cordusio è venuto anche chiara la richiesta a Profumo di passare, d'ora in avanti, a una gestione delle decisioni aziendali meno personalistica. E allora la strategia dei soci (andando oltre al brevissimo termine) sembra prendere un'altra piega: fiducia ora a Profumo ma anche suo ridimensionamento. Gli errori lasciano sempre un segno nel mondo bancario. Profumo ne ha commessi e ieri lo ha anche ammesso. Non ora, non in questo momento iperconcitato dei mercati finanziari, ma il conto arriverà. Anche perché ora vale la pena di andare a capire, dai bilanci della banca, quanto la redditività dell'azienda degli ultimi anni sia stata dovuta all'utilizzo di mosse aggressive sui mercati finanziari, dei quali ora sta arrivando il contraccolpo. Sul mercato si parla di una strategia di collocamento di titoli ai clienti che ancora pochi giorni fa era centrata sulla proposta di prodotti finanziari non proprio apprezzati in questo difficile momento. E agli occhi del mercato quella strategia ora ha preso la forma della ricerca quasi disperata di mantenimento di determinati standard di redditività. Di questo, e degli altri errori, la responsabilità ultima va all'amministratore delegato.

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