Touadi: «Giudichiamo ogni caso per ciò che è»
Touadi conosce bene la realtà romana e i rischi del razzismo e non nasconde che «i casi andrebbero visti uno per uno e approfonditi». Anche perché, molto spesso, si tratta di episodi che con il razzismo non hanno niente a che fare. «Il raid del Pigneto, ad esempio, ha avuto evoluzioni diverse. Il caso recente della donna somala già nei giorni scorsi aveva evidenziato la necessità di un approfondimento. Bisogna distinguere, ma guai ad annacquare». In che senso? Anche lei crede che esista un rischio razzismo in Italia? «Personalmente sono sempre molto attento nel maneggiare questa categoria. Ma non credo esista nazione, società, comunità completamente immune, se non vogliamo parlare di razzismo, dalla xenofobia. Non esiste un'immunità acquisita una volta per tutte». Quindi c'è o non c'è un rischio razzismo in Italia? «Viviamo un periodo di crisi economica e sociale. Non v'è dubbio che lo straniero, "l'altro", possa trasformarsi nel catalizzatore di una certa frustrazione. C'è una difficoltà a vivere la propria vita e lo straniero può diventare il veicolo per sfogare la propria rabbia». L'impressione, però, è che solo adesso, in Italia, si scopra il razzismo. «Ci sono forze culturali e politiche che non nascondono, nel loro "armamentario" ideologico, una certa rabbia verso lo straniero. C'è il rischio che questo diventi contesto per alcuni episodi. Io, ad esempio, rimango sempre impressionato quando sento parlare Gentilini o Borghezio. Abbiamo superato una barriera linguistica». Lei è da trent'anni a Roma ed è stato anche in Campidoglio. Possibile che, fino ad oggi, in città non sia mai successo niente? «Il romano ha sempre convissuto con "l'altro", fin dagli albori della propria storia. C'è, nel dna di questa città, una dimensione universale. Certo anche in passato poteva capitare di sentire qualche battuta cattiva. Ma secondo me ci sono alcuni episodi recenti che possono aver segnato l'anima e la coscienza della città e, forse, hanno cambiato il clima. Fatti a cui Roma non era abituata». Ad esempio? «Penso a Vanessa Russo, uccisa con un ombrello in metropolitana da due romene, e all'omicidio di Giovanna Reggiani. Episodi su cui, irresponsabilmente, alcuni politici hanno soffiato per alimentare il fuoco». Allo stesso modo, però, altri politici soffiano sul fuoco del razzismo per poi, magari, essere smentiti. Non c'è il rischio che, a forza di gridare "al lupo, al lupo" la gente non ci faccia più caso? «Non bisogna mai utilizzare etichette pregiudiziali. Ma la catena di episodi di questo ultimo periodo è impressionante. Se poi anche l'Osservatore romano e la Chiesa segnalano il pericolo, la cosa non può che spingerci ad essere vigili». Che tradotto concretamente significa? «Dobbiamo usare il linguaggio della verità e della responsabilità. Che vuol dire, laddove esistono problemi, chiamarli con il proprio nome e stigmatizzarli. Il caso dei minorenni che hanno picchiato il cinese, ad esempio, ci deve interrogare. Non basta gridare contro quei ragazzi che sono il frutto di un contesto, di problemi forse mai affrontati. Occorre andare in profondità e dare risposte razionali, senza cavalcare le paure. Serve un lavoro culturale, l'immigrazione non è una iattura momentanea. Abbiamo bisogno di politiche di reale inclusione».