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dall'inviato Fabrizio dell'Orefice MILANO Arriva a passo ...

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Mariastella Gelmini ha soltanto un segno di debolezza, una piccolo gonfiore appena sotto l'occhio destro. Per il resto, non si scompone. Fende la sala, subito la spianata di richieste, di gente che ha da rivolgere una supplica, poi tocca ai giornalisti. Gli si para davanti un inviato di «Annozero» che le rimprovera di aver fatto l'esame di abilitazione di avvocato a Reggio Calabria e non a Brescia. Lei glissa, tira dritto fino al palco, si siede e fa agli altri che l'attendono al tavolo dei relatori: «Cominciamo, cominciamo». Per il ministro dell'Istruzione è un tributo. Un tributo del suo popolo. Prima Luigi Amicone, poi Paola Frassinetti, Mario Mauro e infine Luca Barbareschi a decantare le lodi della sua riforma. Tocca a lei. E la Gelmini, a differenza degli altri, si alza in piedi, dismette i panni della «dolce Stella» e diventa la «tigre di Leno». Afferra il microfono a avverte: «C'è qui tra il pubblico un giornalista di Ballarò, anzi, mi correggo, di Annozero. Ebbene chiede perché ho fatto l'esame di abilitazione non a Brescia. E glielo dico subito, mio caro. Perché nella mia città si erano adottate misure per limitare la concorreza. E così per fare l'avvocato bisognava mettersi in macchina, fare centinaia di chilometri e andare da un'altra parte d'Italia. E poi l'avvocato se è bravo a deciderlo è il mercato, non un esame». Applausi. Lei rifà lo sguardo mansueto, guarda l'interlocutore e gli fa: «Ecco, vede, caro il mio signore di Annozero. Voi ci accogliete con i fischi e noi a voi con applausi e sorrisi». La Gelmini è così, un sorriso e una sberla. Una sberla e un sorriso. Questa sera tira fuori gli artigli e fa la pasionaria, gioca in casa, il pubblico è con lei (e se non fosse con lei sarebbero cavoli amari): «Si stanno agitando le bandiere ideologiche. Non si guarda al problema, che è una scuola che non può essere uno stipendificio. Tra l'altro distribuendo stipendi brutti, da 1200 euro al mese. È questo che volevano i sindacati?». Altro giro, altra sberla, pardon zampata: «Un tempo la sinistra si batteva contro la guerra del Vietnam o per la pace nel mondo. Adesso se ne sta aggrappata al maestro unico per sopravvivere». E ancora: «Le proteste provengono da striminzite minoranze. Io rispetto tutti. Sono solo dispiaciuta del fatto che si usano i bambini per attaccare la Gelmini o il governo Berlusconi, è vergognoso. Li usano per ricompattare la sinistra contro il governo». Ma lei no, va avanti. «Sapete, non sono un'insegnante ma sono figlia di insegnanti». La sala non è poi tanto piccola ma è gremita in ogni angolo. Lei confessa: «Faccio il ministro perché l'ha voluto Berlusconi, perché ha voluto dare a una generazione, la mia, quella dei trenta-trentacinquenni (la ministra è nata nel '73 ndr) un'opportunità. Starà a noi, a me, a Fitto, ad Alfano, dimostrare di essere all'altezza». Cita il premier in un altro passaggio: «C'è chi si meraviglia che non litighiamo. Ma Berlusconi non ci dà il tempo per farlo, lavoriamo e basta. Con rispetto e amicizia tra ministri come mai era accaduto prima. E poi, perché dovremmo farlo?». Le proteste non la spaventano: «Al ministero me lo dicono tutti i giorni: "Ma ministro, qui a viale Trastevere, le manifestazioni ci sono sempre state"». E comunque sia, i cortei non la impressionano: «Andiamo avanti», insiste. Posa il microfono. Applausi, si gira verso lo staff e mormora: «È vero, questi in piazza sono proprio quattro gatti».

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