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La protesta è finita. Soltanto quattro gatti per contestare la Gelmini

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Mariastella Gelmini

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Era già pronta la prima manifestazione che si annunciava, almeno nelle intenzioni dei Cobas, «la prima risposta di massa alle politiche antisociali predisposte dal governo Berlusconi». Poco dopo arrivò la risposta dei confederali, tutti in piazza contro l'allora ministro dell'Istruzione: dagli insegnanti agli studenti, passando per i docenti universitari. E sugli altri fronti il clima non era peggiore. Già era in cantiere lo sciopero generale solo sull'annuncio delle delega sulle pensioni. Ma l'aria si cominciava a fare pesante perché già si vedevano sullo sfondo le avvisaglie della successiva guerra, quella sull'articolo 18. Sembra un'era glaciale fa. Sono trascorsi appena sette anni. Oggi nessuno, ad eccezione di Gugliemo Epifani, s'azzarda a parlare di sciopero generale. E a fatica s'avanza qualche protesta. Ieri, mestamente, qualche decina di manifestanti stazionava davanti al dicastero dell'Istruzione a viale Trastevere. Un sit-in spontaneo e poco organizzato. Erano i genitori di sinistra. Che poi hanno ceduto il testimone ai docenti precari, che dovrebbero essere oltre 120mila. Davvero ben poco rappresentati visto che nella centrale strada di Roma era occupata appena una corsia e parte della scalinata centrale. Qualche striscione, vecchi slogan un po' attualizzati: «Maestro unico, no grazie», «Abbasso le lavagne luminose, viva le maestre», «Nessun genitore vuole risparmiare sui bambini». Oppure: «Laureato e abilitato, futuro da disoccupato», «Naturalmente in graduatoria», «Congelati o dimenticati?». Tutto qua. Doveva essere il «No Gelmini day». Ma a sera il ministro non può che stare tranquilla. Oggi toccherà ai partiti, arriverà anche Antonio Di Pietro pronto a salire su qualunque trespolo come fosse un oratore di Hyde park in cerca di uditorio. A piazza Montecitorio si sono viste anche le bandiere della Cgil dietro la protesta dei ricercatori precari che temono nuovi tagli. Tanto rumore, fischietti e urla ma i manifestanti si poteva contare uno a uno. Insomma, siamo ai primi passi della mobilitazione. Ma quello che appare chiaro è che la manifestazione come strumento di protesta è da ripensare. In sette anni il mondo è cambiato. I sindacati sono divisi, almeno con i quattro principali da un lato e la Cgil che resta sulle barricate. Non c'è aria di scioperi. E soprattuitto, approvando di fatto la Finanziaria a giugno, settembre è un mese svuotato. Di solito l'approvazione della Finanziaria porta alle divisioni all'interno del governo ed è l'occasione per l'opposizione di ringalluzzirsi andando a rincorrere le categorie che si dichiarano insoddisfatte dalla Manovra. Stavolta non è stato così. I partiti di minoranza si prendono a schiaffi tra di loro, dilaniati persino dalle battaglie interne. La Finanziaria non c'è perché è stata già varata. I deputati se ne vanno a zonzo per il Transatlantico come anime in pena. Qualcuno se ne va anche a spasso per il centro di Roma, e il governo va sotto. Ma di certo non c'è il pathos che caratterizza il solito ritorno dalle vacanze. Insomma, la protesta di piazza è finita. O almeno per ora è fallita. Non aggrega. Non funziona. Chiusa l'era della fraternizzazzione di studenti e operai, archiviata l'epoca del sindacato che si fa cinghia di trasmissione, che riunifica le categorie e le convoglia nello sfogo sociale delle scarpinate sull'asfalto a strillare slogan ad effetto. Fine. Tutto finito. Si volta pagina. È boom nei sondaggi per chi prende le decisioni. Berlusconi affronta la questione rifiuti? Si rimbocca le maniche e rimuove i sacchetti? E sale nel consenso. Berlusconi si occupa di Alitalia? Si mette alla cloche e la fa ripartire? Ancora su. Anche i sindacati lo hanno capito e cercano nuove strade. Bloccare aeroporti. O peggio le stazioni. Le autostrade. I mezzi pubblici. Insomma, bloccare i cittadini, i pendolari, gli altri lavoratori non paga più. C'è insoddisfazione sì, ma che non sfocia in piazza. In protesta. E anche i toni accesi nei confronti della Gelmini, le catene di sant'Antonio su internet, le vignette e le maestre che costringono i bimbi a fare disegni contro la ministra è roba che sembra provenire dai libri di storia più che dall'attualità. E soprattutto sono episodi fine a loro stessi che non hanno ancora coinvolto altri che i diretti interessati. Almeno sino ad ora.

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