Insulti al Cav l'ultima piroetta di Veltroni
Parole pesantissime, scagliate contro il premier con l'intento di rubare spazio a Antonio Di Pietro e alzare i toni in vista della manifestazione nazionale organizzata dal Pd per il 25 ottobre. Ma è anche un cambio di passo che sembra l'ennesima giravolta di un leader che non riesce a trovare una linea che tenga unito il partito e che soprattutto gli consenta di tenere testa a Berlusconi. L'ex ministro delle politiche agricole Paolo De Castro e oggi (non a caso) presidente della dalemiana associazione Red lo dice chiaro e tondo: «Fino a ieri il Pd evitava persino di nominare Berlusconi definendolo come "l'esponente maggiore del campo a noi avverso". Oggi improvvisamente dopo ben tre sconfitte elettorali pesantissime, sondaggi che ci danno sotto il 30% e in vista della manifestazione del 25 ottobre si scopre che Berlusconi è diventato un pericolo per la democrazia. Se le parole hanno un senso Veltroni e C. dovrebbero riconoscere di aver sbagliato tutto e trarne le dovute conseguenze. Come si fa negli Stati Uniti, il secondo Paese di Veltroni». Nello spazio di un'estate il segretario del partito Democratico è infatti passato dalla strategia del dialogo con il governo a quella dei piatti in faccia per inseguire la parte più «forcaiola» della sinistra. Accontentando, a ogni piroetta, una parte del Pd. A essere felici ora sono i prodiani che però si chiedono quanto sia convinta e soprattutto duratura la scelta del segretario. Mario Barbi e Franco Monaco spiegano di essere contenti delle dichiarazioni di Veltroni ma chiedono anche al segretario di «riconoscere gli errori del passato quando scelse Berlusconi come interlocutore principale per le riforme». A maggio, infatti, l'ex sindaco di Roma, dopo aver avuto un incontro proprio con il Cavaliere, spiegava che «se non facessimo un dialogo verrebbero meno le ragioni di fondo e cioè la modifica delle regole del gioco». Poi, a partire da luglio Veltroni ha iniziato a usare toni sempre più aspri verso il premier e la maggioranza. Fino ad arrivare alle frasi durissime dell'intervista di ieri contro Berlusconi. E se a gioire sono gli ulivisti, la parte dalemiana dei Ds storce il naso. Proprio perché poco propensa a imboccare la strada di uno scontro frontale con il premier. Per di più proprio nel giorno in cui esce una delle tante anticipazioni del prossimo libro di Bruno Vespa nella quale Massimo D'Alema «sponsorizza» il Cavaliere per il Quirinale: «Se si arrivasse a un sistema presidenziale — confida — Berlusconi potrebbe concorrere alla massima carica dello Stato perché ci sarebbero quei pesi e quei contrappesi che consentirebbero anche a lui di governare meglio il paese». Nicola Latorre, dalemiano doc, chiosa così: «L'Italia non è la Russia, non c'è voglia di autoritarismo». E perfino Marco Follini, uno che certo non può essere accreditato di una spiccata simpatia verso Berlusconi, non fa salti di gioia per la strada imboccata dal leader Pd: «Condivido l'intervista di Veltroni, ma solo per metà — spiega — Che la destra stia vincendo nel nome di una semplificazione politica sbrigativa è un dato di fatto. Ma per contrastare questa deriva credo che serva più il Veltroni del Lingotto che l'antagonista di Putin. Se non rendiamo più forte il profilo del nostro riformismo corriamo il rischio che il "Cremlino" diventi una fortezza inespugnabile». Frase elegante per dar voce a chi, nel Pd, pensa che con le giravolte di Walter il centrodestra continuerà a governare molto a lungo.