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Nicola Imberti [email protected] «Tutto è bene quel che ...

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Ma la voce del ministro della Pubblica amministrazione e Innovazione, pacata nei toni, tradisce una certa amarezza. Cosa la preoccupa? «In queste settimane è emerso, in maniera chiara, che le relazioni industriali, che sono un momento fondamentalre delle vita delle aziende e del Paese, in Italia non funzionano. Se mai hanno funzionato...» Perché? «Così come s'è visto nella vicenda Alitalia sono troppo costose, troppo lunghe, inefficienti. Nessun Paese può permettersi trattative di questo tipo. Non avviene negli Usa, in Francia, in Spagna. Ho avuto modo di seguire i fallimenti di Sabena e Swissair. Tutto si è concluso in breve tempo e nuove società si sono presentate sul mercato». In Italia questo non è successo. Di chi è la colpa? «Il sistema è inefficiente, ma la colpa non è solo del sindacato. Forse le regole del gioco non funzionano più anche se è vero che, con Alitalia, eravamo arrivati ad un epilogo in cui c'erano pochissimi spazi di manovra». L'impressione però, è che con questo sistema, il Paese possa accumulare ritardi incolmabili. «È il caso del nostro modello contrattuale che, da dieci anni, è vittima di un continuo tira e molla. L'accordo di concertazione governo parti sociali del luglio 1993 prevedeva, entro un quadriennio, la riscrittura delle regole. Siamo nel 2008 e ancora non si è fatto niente. Fino a ieri perché la Cgil si alzava dal tavolo, oggi pure». Quindi è colpa del sindacato? «Non riusciamo a prendere decisioni che siano sincronizzate al cambiamento perché abbiamo un sistema di relazioni industriali troppo pesante, barocco, conflittuale e ideologizzato che non fa gli interessi dei lavoratori e del Paese. Perché in Germania, nonostante la crisi, riescono a ridurre i costi e ad aumentare la produttività e le industrie riprendono a correre? Perché non c'è bisogno di ultimatum o showdown?» Scusi, ma la politica che fa, sta a guardare? «La politica italiana in questi 10 anni si è molto semplificata. Siamo arrivati al bipolarismo se non addirittura al bipartitismo. C'è stato un cambiamento dei linguaggi, dei modi, dei contenuti. Non ci sono quasi più riti e regole di 10-15 anni fa. Non ci sono più le vecchie gerarchie e il vecchio modo di selezionare la classe politica. Certamente si può dare un giudizio positivo o negativo, ma è indubbio che la politica sia cambiata. È avvenuto altrettanto nel sindacato?» Cos'è una domanda retorica? «Forse servirebbe un'autocritica. Certo, il mondo sindacale non è cambiato, ma anche il mondo industriale è sempre lo stesso. Confindustria, Confcommercio e le altre sigle sono sempre lì. Anche se si tratta di realtà più legate ai cambiamenti perché hanno a che fare con il mercato. In ogni caso sono mondi stazionari, fissi». Scusi se glielo chiedo nuovamente, ma la politica non può intervenire in qualche modo? «Non può essere il governo a fare da catalizzatore perché ha già i suoi guai con i tagli alla spesa pubblica, la bassa crescita, le riforme troppo a lungo rinviate». Insomma, la situazione è piuttosto preoccupante? «Non è facile governare così e, dall'altra parte, c'è un sistema completamente bloccato. Rischiamo uno stallo pericoloso. Basta guardare ad Alitalia, una privatizzazione che ha dovuto superare ostacoli infiniti con la Cgil sempre in bilico tra sindacato e partito. Non è affatto facile, lo vedo anche nel mio settore». Proprio nel suo settore si aprirà, a breve, una partita importante: quella del contratto del pubblico impiego. Una partita in cui il sindacato gioca e giocherà un ruolo fondamentale. «Sul contratto del pubblico impiego siamo in ritardo di un anno visto che Prodi non aveva previsto risorse per il 2008. Nella Finanziaria che abbiamo appena approvato ci sono 3 miliardi di euro di risorse disponibili e non sono pochi visto il momento che stiamo vivendo. Il sindacato, però, mi dice che non si siederà al tavolo perché non bastano. Ma che interlocuzione posso avere?» Beh, a giudicare dalla manifestazione organizzata ieri dalla Cgil non sembrano esserci molte possibilità di dialogo. «Le faccio un esempio. Nel settore privato l'indennità di vacanza contrattuale è automatica, una sorta di "mini scala mobile" che anch'io ho contribuito a scrivere nel 1993. Nel settore pubblico ciò non accade, per pagarla serve un contratto. Il che vuol dire che, fino a ieri, non si pagava. Io ho detto: la verso ugualmente a tutela dei lavoratori. E il sindacato mi insulta dicendo che dò mance». In effetti Epifani, rivolgendosi a lei, ha detto che i lavoratori hanno bisogno di diritti e non di mance. «Ho 3 miliardi a disposizione per tre milioni e 650mila dipendenti pubblici. Di più non c'è. Cosa faccio, non dò nulla così si aumenta la carica conflittuale. È questo che il sindacato vuole? Niente soldi per aumentare il conflitto?» Come se ne esce? «Io sto cercando di cambiare un sistema che tutti definiscono inefficiente. I sindacati mi chiedono più soldi. Una richiesta legittima, ma non ci sono. Epifani mi insulta. Non voglio attaccarlo perché non è nel mio stile ma mi faccio delle domande: è questo il sindacato di cui ha bisogno l'Italia? È questo il sindacato che difende i lavoratori ma, contemporaneamente, è anche catalizzatore di riforme? Se non avessi fatto la battaglia contro i fannulloni cosa avrebbe fatto il sindacato per combattere queste sacche di inefficienza? Io credo che, anche per loro, sia giunto il momento di una rivoluzione culturale. I tempi sono cambiati». Mi sembra di capire che, sui contratti, lei andrà avanti anche senza sindacati. Sbaglio? «Io conosco il mondo del lavoro e conosco le relazioni sindacali che, tra l'altro, ho contribuito a costruire sia con il decreto di San Valentino che con gli accordi di luglio. Ho diretto per oltre 20 anni la fondazione Brodolini (costituita nel 1971 per continuare l'opera dell'ex ministro del Lavoro Giacomo Brodolini a cui si deve l'approvazione dello statuto dei lavoratori ndr), non sono un bieco reazionario. Io vado avanti. Martedì invierò l'atto di indirizzo all'Aran, che è controparte nella trattativa, e inizierà la stagione contrattuale». Quale pensa sarà la reazione? «I sindacati devono decidere. Vogliono andare a Palazzo Chigi o da Tremonti per chiedere di più? Si accomodino. Io gestisco le risorse che la Finanziaria, approvata all'unanimità dal consiglio dei ministri, mi ha dato. Tra l'altro vorrei ricordare che ho anche recuperato i tagli e le restrizioni previste dal decreto 112 sulla contrattazione di secondo livello. Nessuno me l'ha riconosciuto ma l'ho fatto e continuerò a farlo. Così come ho tagliato le consulenze che erano lo "spauracchio" del sindacato». Perché? «Perché i sindacati temevano di essere scavalcati dalle consulenze esterne. Insomma, quello che voglio dire è che ci sono idee per migliorare la contrattazione premiale e c'è molto da fare per migliorare la qualità e gli standard di trasparenza della pubblica amministrazione». E se i sindacati dovessero scendere in piazza? «Perché dovrebbero farlo? Non c'è un miliardo di euro in più, ma non ce ne sono neanche 500 milioni, né 100. Tutto è stato stanziato». Quindi la sua è una sfida? «La Finanziaria stabilisce che parte delle risorse recuperate con il miglioramento dell'efficienza vengano destinate a premiare il merito. Perché non possiamo gestirle insieme? Se avessi più soldi anch'io sarei felice, ma il Paese non li ha. Abbiamo già fatto uno sforzo straordinario». Una delle obiezioni che le vengono mosse è che le risorse stanziate sono inferiori a quelle disponibili in passato. È così? «È vero e io, avendo dimestichezza con i numeri, lo so meglio del sindacato. I tempi sono cambiati. Dal 2000 ad oggi gli incrementi medi del pubblico impiego sono stati il doppio dell'inflazione effettiva. Quelli dei privati, invece, sono stati appena in linea. I dipendenti pubblici non hanno dunque perso potere d'acquisto anzi, lo hanno incrementato. Tra l'altro non rischiano il posto di lavoro o la cassa integrazione. Forse questo non conta?» Sta dicendo che sono dei privilegiati? «Sto dicendo che dobbiamo migliorare la qualità dei servizi. E io intendo fare questo ragionamento anzitutto al Paese prima che ai sindacati. Forse è proprio questo che disturba, ma i miei interlocutori sono gli italiani. I sindacati sono solo agenti contrattuali che, tra l'altro, dovrebbero avere il mio stesso atteggiamento visto che devono rendere conto agli iscritti». E gli italiani sono con lei? «Gli italiani sono la nostra cartina di tornasole. Perché non ci chiediamo se sono contenti del nostro lavoro? Se i beni che produciamo sono all'altezza dei costi che hanno? Il nostro obiettivo è migliorare, insieme, i beni e i servizi che offriamo al cliente finale. Non è un gioco a due che può andare avanti a prescindere dal terzo. Io il contratto lo faccio per far felice 60 milioni di italiani. Remuneriamo i dipendenti pubblici per produrre beni e servizi. Perché non si discute mai di questo? I sindacati non si siedono al tavolo? Prendo atto e vado avanti». Insomma, andiamo verso un mondo senza sindacati? «Io faccio autocritica tutti i giorni. Forse il sindacato dovrebbe fare lo stesso perché gli italiani sono stufi! Si rischiano giudizi feroci. Non è possibile un Paese senza sindacati, ma non è possibile anche con sindacati conservatori che si mettono sempre di traverso. L'Italia ha bisogno di un sindacato innovativo, capace di cambiare. Io mi auguro un interlocutore di questo tipo che dica "vedo" davanti alle mie proposte. Io sto dalla parte dei lavoratori o come diceva Brodolini da una "parte sola, la parte dei lavoratori"». L'impressione, però, è che ci siano due sindacati. La vicenda Alitalia ha mostrato una spaccatura: da un lato Cisl, Uil e Ugl, dall'altro la Cgil. Sarà così anche per i contratti? «Parlando in privato con i singoli sindacalisti, anche con i leader, prevale sempre il senso di responsabilità. Ma poi, quando dichiarano ai giornali, tutto cambia. È come se ci fossero due parti in commedia, una consapevole e un'altra retorica. Mi auguro che la prima prenda il sopravvento sulla seconda e che si possa uscire da questo teatrino». Supponiamo che la trattativa non vada in porto. Cosa succederà? «A dicembre, con la tredicesima, i lavoratori riceveranno l'indennità per vacanza contrattuale. Circa 120 euro. A gennaio, se ancora non avremo chiuso, arriveranno altre integrazioni. Quello che mi preme dire, però, è che ci sono tutte le condizioni per difendere il potere d'acquisto dei salari e premiare il merito. Io voglio chiudere il contratto. Se ciò non accade la Finanziaria mi dà la possibilità di anticipare risorse disponibili». Le chiedo di entrare un attimo in una polemica che la coinvolge. Un sindacalista del Sap, parlando dell'incidente automobilistico in cui venerdì hanno perso la vita due poliziotti, si è chiesto se ora, al terzo agente ferito, verrà tagliato lo stipendio per malattia. Cosa risponde? «Ho letto con amarezza la polemica aperta, tra l'altro, a poche ore dalla tragedia. Spero che nessuno, all'interno del Sap abbia intenzione di strumentalizzare questa vicenda». Ma il poliziotto perderà 23 euro al giorno? «Ipotizzare questa cosa è pura provocazione. Il decreto 112, e mi colpisce che un sindacalista faccia domande retoriche solo per dare risposte strumentali, non prevede decurtazioni per malattia dovute a cause di servizio. Tra l'altro il Sap non si è accorto che due giorni fa ho presentato, come governo, degli emendamenti al decreto 112 che mirano ad escludere le forze dell'ordine dalle decurtazioni per tutte le malattie, anche l'influenza. Insomma si tratta di un'inaccettabile provocazione. È forse questo il sindacato di polizia? A chi giova questa polemica? Io ho le carte in regola e sono una persona per bene, non mi piacciono certe strumentalizzazioni. Mi auguro si tratti solo di uno sfogo legato al dolore del momento».

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