Laura Della Pasqua l.dellapasqua@iltempo.it «Più ore di ...
Andrea Moltrasio, vicepresidente della Confindustria, invita a non sottovalutare lo scenario della congiuntura internazionale. Le stime al ribasso del governo sono sulla scia di quelle della Confindustria. È proprio una situazione così drammatica? «Questa volta il dato del governo conferma una preoccupazione che Confindustria segnala da tempo. Il differenziale di crescita dell'Italia con l'Europa era già elevato quando era positiva la crescita, ora per noi diventa una recessione a tutti gli effetti». Quali le cause? «Le cause sono molteplici. Quello che sta succedendo nel mondo è una crisi finanziaria senza precedenti. Forse questa crisi non ha ancora toccato del tutto l'economia reale ma l'economia finanziaria e quella reale non sono così lontane. In Italia alla crisi esogena si sommano guai accumulati negli anni che sono l'alto debito pubblico e un deficit infrastrutturale più grande degli altri Paesi europei. Penso alle strade e alle infrastrutture materiali come l'energia ma anche alle infrastrutture immateriali come la scuola, la formazione, la ricerca. L'altra causa è che abbiamo accumulato negli anni ottanta e novanta un debito pubblico che ci dà meno gradi di libertà, meno possibilità di manovra». Non c'è anche una responsabilità degli imprenditori che negli anni in cui l'economia andava bene invece di investire in tecnologia e prodotti, hanno preferito rivolgersi alla finanza? «Questo discorso vale per gli americani e gli inglesi ma non per le imprese italiane. Per l'Italia non c'è stato un problema di spostamento degli investimenti verso la finanza. Inoltre se guardiamo la storia degli ultimi dieci anni i maggiori sacrifici sono ricaduti sulle spalle delle imprese e dei lavoratori che hanno stretto la cinghia per consentire l'ingresso nell'area dell'euro. Ora queste due categorie andrebbero aiutate». Le imprese sono state aiutate, o no? «Non parlo di aiuti in soldi ma delle condizioni all'esterno delle fabbriche per poter lavorare meglio». Cosa intende per condizioni migliori? «Mi riferisco al fatto che se l'industria manifatturiera è efficiente ma il sistema dei trasporti è al collasso non si possono trasportare le merci; se le imprese hanno bisogno di tecnici specializzati e di ingegneri, hanno difficoltà a reperirli perchè la scuola non è all'altezza della domanda; mi riferisco al fatto che l'elevata burocrazia impedisce la creazione di nuovi impianti; che le tasse sono più alte di altri Paesi europei; che le regole del mercato del lavoro sono troppo rigide e arcaiche. Ecco questi fattori ostacolano la competitività». Mercato del lavoro rigido, quanta responsabilità ha il sindacato? «Tutti i sindacati devono stare attenti a non allontanarsi dalla realtà dei problemi. A volte sembra che non capiscano le priorità dei lavoratori, hanno una visione un po' statica e arcaica del mondo del lavoro. Che giudizio dà dell'azione di questo governo? «Non posso che esprimere un giudizio positivo sul metodo adottato per la Finanziaria. Si è evitata l'eterna discussione in Parlamento e il consueto assalto alla diligenza. Mi sembra di vedere una serie di provvedimenti di buon senso ma forse avremmo bisogno di qualche choc, di un'immissione di fiducia più forte. Capisco che non è facile per l'alto indebitamento ma sarebbe opportuno uno sforzo in più sulle infrastrutture e per chi produce». Aiuti a chi produce, in che senso? «Intendo la possibilità di favorire una defiscalizazzione del lavoro dipendente. Mantenere bassa la pressione fiscale sulle imprese e sugli investimenti che fanno le imprese».