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Il nodo Marinella

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Maurizio Marinella, erede dell'impresa avviata a inizio secolo dal nonno, è uno degli imprenditori italiani più corteggiati dai gruppi finanziari stranieri. Ma lui non ci pensa proprio a lasciare la sua città, anche se «in questo momento, sta attraverso un momento complicatissimo, in cui regna l'anarchia assoluta». Lo showroom di Marinella (al primo piano del palazzo accanto al negozio), è un inno al "made in naples": dai foulard con sfondi marini, agli orologi con i cornetti rossi portafortuna, carte da gioco napoletane, una terrazza praticamente "'ncopp a Capri" e lo storico libro delle firme, con tutti i clienti più importanti, molti dei quali, esponenti politici. Ha mai provato a contarli? «No, ma sono tanti. Se pensa che abbiamo servito tutti i presidenti della Repubblica: da Enrico De Nicola all'attuale Giorgio Napolitano. Non ne abbiamo saltato uno, è un bel record. E poi ci sono anche quelli stranieri». Tipo? «Beh, la famiglia Kennedy, quasi tutti i presidenti americani, Carlo d'Inghilterra, Putin, Juan Carlos di Borbone, Sarkozy, Clinton. Ultimamente è venuto anche Zapatero. Per tutti la cravatta Marinella è vissuta come se fosse una foto di Napoli o una sfogliatella da portare a casa». Non ha citato il suo cliente più affezionato. (Sorride) - «Il presidente Berlusconi è il più scatenato di tutti, ma è brillantissimo. Oramai è quasi un nostro azionista, anche per il numero di cravatte che regala in tutto il mondo. Oltretutto, la sua segretaria si chiama Marinella... con lei ci sentiamo spesso». Le richieste più strane che ha ricevuto? «Ne arrivano di tutti i tipi. Luchino Visconti ne ordinava a bizzeffe, tutte con sfondo blu o rosso, sfoderate come foulard, che coordinava a fazzoletti da taschino coloratissimi di seta indiana. Aristotele Onassis ne comprava dodici alla volta, rigorosamente nere per scoraggiare gli interlocutori e non far mai capire di che umore era. Ricordo anche quando abbiamo fatto le cravatte per magic Johnson, un gigante, abbiamo dovuto usare il tessuto pari a tre cravatte...». Per non parlare poi dei colori. Ora usate anche il viola, ma Napoli su questo, non era scaramantica? «È vero, prima il viola non lo utilizzavamo per questo motivo, pur essendo un colore molto inglese. Ora invece, è un colore molto gettonato, in tutte le sue gradazioni. Non c'è più l'idea della cravatta "austera". Anche molti politici chiedono oggi colori chiari e sgargianti: vedo Fini con cravatte scatenatissime o anche il re di Spagna ogni tanto richiede cravatte arancio, salmone, azzurre. Non c'è più solo il blu rigoroso». Beh...questo non per tutti. La cravatta blu a pois bianchi di Berlusconi è diventato un must. «Sì, lui non cambia stile. Del resto Berlusconi mi ha sempre detto: "Quando mi vesto la mattina, non voglio fare molti abbinamenti: metto quei vestiti, quelle cravatte, così sono pronto anche per la sera". L'effetto boomerang che ha creato il Cavaliere con la cravatta punta a spillo blu e bianco è stato spaventoso». Insomma, le ha fatto un po' da testimonial. «Berlusconi è uno straordinario comunicatore: anche quando non è stato capo del governo è sempre rimasto sulle prime pagine dei giornali: vuoi per la bandana, vuoi per il panama, vuoi per la camicia di lino». Quanto l'ha aiutata nel suo lavoro, diventare l'autore del "nodo" della politica? «Molto. Devo dire, che un grande salto lo abbiamo fatto durante la presidenza Cossiga, il quale decise di regalare dei cofanetti con sei cravatte Marinella ogni qual volta andava a trovare un capo di Stato». Nel periodo di Natale, tra parlamentari sempre più spesso ci si regala cravatte Marinella. «Così non si sbaglia», dice qualcuno. «Quello è un periodo in cui lavoriamo tantissimo, per tanti clienti affezionati. E non sono solo politici. Mi vengono in mente Gianni agnelli, Vespa, Montezemolo, Geronzi, Profumo, Passera. Anche Mike Bongiorno, simpaticissimo. Le racconto una storia». Prego. «Nel 2004, in occasione del nostro novantesimo compleanno, decisi di fare un libro fotografico: molti dei clienti con addosso le nostre cravatte. Tutto il ricavato è stato donato in beneficienza, ad un ospedale pediatrico di Bari, il Giovanni XXIII. Abbiamo fatto circa 70 mila euro. Quando siamo andati a casa di Bongiorno, e gli abbiamo chiesto di scegliere una cravatta per la foto, ci ha rivelato di averne 700». È suo il primato? «No. Un napoletano è a quota 1400 cravatte». Come mai ha deciso di avere un clone di Marinella a Tokyo? «Come le dicevo, noi non abbiamo mai aperto da nessuna parte, fuori Napoli. Cinque sei anni fa, venne da me un giapponese con il quale io collaboro e mi propose di aprire un negozio lì. Gli orientali sono in genere dei gran copiatori. Così hanno fatto un negozio un po' più piccolo, ma identico a quello napoletano». Che non è mai cambiato? «No. Non non ho mai voluto modificare nulla nel negozio, lì regna una magia. Sono convinto di avere l'aiuto di mio nonno e di mio padre». Quanto è difficile gestire un'azienda come questa? «È difficile ma è anche emozionante. Io ne ho vissuto tutte le fasi, essendo in negozio dall'età di otto anni e mezzo, quando, cioè, mi chiamò mio nonno e mi disse "ora sei grande e devi venire a lavorare". Il negozio, aperto nel 1914, all'inizio era una sorta di piccolo corner d'Inghilterra, con due laboratori: uno per le camicie e le cravatte; l'altro per gli accessori, profumi, ombrelli, bastoni e scarpe. Nel tempo, ovviamente, abbiamo tolto qualche elemento - tipo i bastoni - e inserito qualche accessorio nuovo, come gli orologi, per noi ora la seconda voce dopo le cravatte. Sulle difficoltà, forse, quella principale è reperire manodopera». Nel senso che non esistono più le sarte di una volta? «Nel senso che quando va via una maestra di taglio, sostituirla è sempre molto difficile. Oltre la figlia o la nipote, non si riesce ad andare». Lei ha detto più volte che la Napoli degli ultimi mesi non ha favorito il vostro lavoro, anzi... «Da gennaio fino a giugno scorso abbiamo vissuto forse i mesi più bui, più tristi e deprimenti che questa città abbia mai vissuto. Dare testimonianza di una Napoli positiva era veramente molto complicato. Ed io, che ho scelto di rimanere in questa città, nonostante le tantissime offerte arrivate, proprio per trasmettere il nome, la piazza, la bellezza...beh, in quei giorni era difficile dire ai clienti "venite a Napoli"». È vero che secondo lei questa città avrebbe bisogno di un sindaco "tolleranza zero", alla Rudolph Giuliani? «In questo momento a Napoli non ci sono regole, non c'è rispetto per niente. E questo anche perchè per noi trasgredire è un fatto normale, fa parte del nostro dna. Ma ora è arrivato il momento di voltare pagina: c'è bisogno di qualcuno che detti la linea. New York con Giuliani, è diventata una città sicura. Non dico di applicare il modello "tolleranza zero", ma quello "tolleranza quattro" sì. Anche perchè soffriamo tutti di questa situazione». Continua ancora ad aprire il negozio alle 6.30 del mattino? «Certo, come potrei non farlo? A quell'ora, in negozio c'è l'atmosfera di una farmacia di paese. Vengono alcuni clienti, si siedono, prendono il caffè con una sfogliatella, parliamo di Napoli, delle nostre vite. È un momento in cui si riesce ancora a godere delle bellezze partenopee, considerando poi, che adesso si esce sempre di meno. Napoli non ha questa storia. Noi siamo come gli spagnoli, abituati a uscire a mezzanotte e stare in mezzo alla strada. Cosa non più possibile. Abbiamo vissuto un sogno quando ci fu il G7 (1994 ndr) e la città era sotto controllo della polizia. Camminavo per la villa comunale alle unidici e mezza di sera, felice e tranquillo. Vorrei tanto riprendere a fare queste cose». Come va l'emergenza rifiuti? «La situazione è molto migliorata, è un buon inizio ma il percorso è ancora molto lungo. Dobbiamo lavorare di più sulla raccolta differenziata». Da imprenditore, di cosa ha bisogno la città per essere rilanciata? «Di essere indirizzata su tutto con un progetto a 360°. In questo momento siamo a zero in tutte le cose: dall'economia al turismo, dall'agricoltura al commercio, al calcio. Abbiamo toccato il fondo. Ora rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare. E cerchiamo di amare di più la città, perché noi, spesso, predichiamo bene ma razzoliamo male». Considera Napoli una città pericolosa? «Più o meno come le altre città. È chiaro che quello che succede qui ha una cassa di risonanza più forte. Girando per l'Italia e per il mondo, tante volte mi sento dire: non ne possiamo più di questa Napoli». Regalate ancora gli orologi di plastica anti scippo? «Sì. Quando arriva da noi un cliente con un orologio importante, gliene regaliamo uno di plastica, invitandolo a togliere il suo. Un'iniziativa che ha già qualche anno e che ha avuto molto successo». Nonostante tutto, però, Napoli è ancora capitale dell'eleganza sartoriale. «Ci sono nomi straordinari: Kiton, Rubinacci, Isaia, Attolini, Tramontano per le borse. Basta pensare che Valentino, o Armani fanno il taglio sartoriale con la spalla napoletana. Da qui il mio sogno...». Quale? «Realizzare l'Università delle arti e dei mestieri. E questo per non far scomparire i lavori che hanno reso importante l'Italia, e Napoli in modo particolare. Non parlo solo della sartoria. Penso anche a chi fa i presepi, una grande mozzarella, la pizza. Dobbiamo tutti essere dottori, commercialisti, o avvocati? Bisogna ridare dignità a queste professioni, parte di un'economia solida di una regione. Lo sforzo è grande, per ora è solo un'idea, ma io non mollo». A chi passerà il testimone dell'azienda? «Difficile dare una risposta. Ho un figlio di 13 anni che ogni tanto scende in negozio, ma non lo obbligo a fare nulla. Io sono stato messo al mondo per continuare questa attività, se avessi voluto fare il medico, non avrei mai potuto farlo. Tant'è che, quando mi sono iscritto alla facoltà di economia e commercio per mio padre fu una giornata drammatica e mi disse:"Ma a noi che ce ne importa che tu ti laurei in economia e commercio?». Veniamo alla domanda clou: è vero che Berlusconi le ha proposto di fare il governatore della Campania? «Non direttamente, ma la proposta, sì è arrivata, e io ne sono orgoglioso». Quindi accetterà? «Non lo so ancora. Penso sia un mondo lontano dal mio. Ma non anticipiamo i tempi. Vedremo, magari un ruolo in seconda linea». C'è anche chi ha pensato a lei come sindaco. Le piacerebbe di più? «Forse preferirei fare il governatore, potrei fare di più per la mia terra». Qual è il proverbio napoletano a cui si appella maggiormente? «In questo momento, "adda passà a nuttata"».

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