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Nicola Imberti [email protected] L'orologio segna le 10. ...

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Niente boyband, oggi è il giorno di Gianfranco Fini, ad Atreju non più nei panni di leader di An, ma in quelli più istituzionali di presidente della Camera. Ma sono pur sempre i «suoi» giovani. Così il numero uno di Montecitorio arriva con largo anticipo rispetto all'inizio dell'incontro e, accompagnato da Andrea Ronchi e dalla «padrona di casa» Giorgia Meloni, si concede un po' di tempo per chiacchiere e saluti. Poi sale sul palco, camicia azzurra a righe bianche, giacca blu con bottoni dorati, jeans, e si sottopone alle domande dei rappresentanti dei movimenti politici giovanili: Alberto Ribolla (Lega), Tobia Zevi (Pd), Francesco Pasquali (FI) e Piersante Morandini (Udc). A segnare indelebilmente il dibattito è però la prima domanda, probabilmente la più attesa. Dopo le polemiche scatenate dalle dichiarazioni di Ignazio La Russa e Gianni Alemanno su fascismo e Repubblica di Salò, serve una parola chiara, definitiva. Fini non si sottrae, ma quello che dice non entusiasma fino in fondo la platea. Il discorso del presidente della Camera è un'analisi lucida di ciò che accadde in Italia dal 1922 al 1943. Un'analisi che muove da un presupposto: «La destra italiana deve dire, senza reticenze, che si riconosce in pieno in alcuni valori presenti nella nostra Costituzione. I valori della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà sociale». Chi ha il coraggio di fare questa operazione, spiega, non solo è pienamente democratico ma, come tale, è antifascista e «rende più agevole un'operazione culturale di ripristino di una verità qualche volta negata». Insomma per Fini non ci sono dubbi, i democratici sono antifascisti. Anche se non è vero il contrario, visto che «chi aveva come modello l'Urss di Stalin era a pieno titolo antifascista, ma non a pieno titolo un democratico». La platea è immersa in un silenzio quasi irreale. Qualcuno pronuncia, quasi fosse un mantra, la parola «foibe». Fini va avanti. Parla di Benito Mussolini definito da un pontefice «uomo della Provvidenza», lodato dal Times e passato alla storia come modernizzatore. Non basta. «Un periodo storico - spiega - non può essere trattato come un filmato cinematografico di cui si prende un fotogramma e lo si analizza prescindendo dalla pellicola». Sul fascismo «il giudizio della destra deve essere negativo». Il perché è presto detto: «Il fascismo fu una dittatura che negò le libertà fondamentali». E inoltre produsse le leggi razziali, «infamia, aberrazione, male assoluto», che negarono nei fatti il principio di uguaglianza. «Questi sono elementi di verità storica - insiste - da cui non possiamo prescindere». Per questo, «anche se non è in discussione la buonafede, non si può equiparare chi stava da una parte e combatteva per una causa giusta di uguaglianza e libertà, e chi stava dalla parte sbagliata». Insomma, non si può difendere Salò. Dal fondo si alza una voce: «Sei stato chiaro presidente, ma poco coerente». È quella di Giuseppe Forestiero della delegazione di Potenza che poi, a margine, spiega: «Oggi Fini ha rinnegato se stesso e la storia di An. Io mi rivedo nei valori di Fiuggi ma per me, fino al 1938, il fascismo è stato orgoglio». Con Forestiero sono in molti, soprattutto tra i più anziani, a provare un certo smarrimento. Fini, però, guarda avanti.

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