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A scaldare la platea ci pensa Giorgia, la leaderina

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E ci riesce. Il ministro della Gioventù scalda i «suoi» ragazzi come un vero e proprio leader. Ci aveva già provato all'inizio dell'incontro quando, interrogando Fini, si era chiesta retoricamente: «Come è possibile che questi ragazzi che credono nella libertà debbano sentirsi sempre sotto esame come se ci fosse sempre qualcosa di cui devono vergognarsi?» Stavolta però l'affondo è più veemente. A Tobia Zevi del Pd che punta il dito contro il rischio che, edulcorando il passato, qualcuno rinunci alle responsabilità, Meloni replica netta: «Non mi pare che da questo punto di vista noi si debba dimostrare qualcosa, mi pare che per noi parlino manifestazioni come questa e le nostre battaglie». Quindi attacca il Pd che durante la campagna elettorale a Roma, «quando non ha più saputo cosa dire, ha tirato fuori la carta del fascismo. Mi sembra un argomento un po' superato». La platea applaude convinta. E l'entusiasmo sale quando il ministro parla di alcune delle battaglie per la libertà combattute in questi anni dai giovani di An. Ne cita due su tutte: Cina e Cuba. Poi ricorda quando fascismo e antifascismo venivano usati da qualcuno per «ammazzare ragazzi di 16 solo perché militavano nel Msi. Le vittime di quegli anni io le chiamo martiri». È un'apoteosi. Meloni prova a frenare gli applausi, chiede alla platea di calmarsi e di lasciarla finire. Ma è il momento dell'identià rivendica, dell'orgoglio di tanti che forse, avevano letto nelle parole di Fini una sconfessione della storia cui hanno dedicato parte della loro vita. Meloni chiude con orgoglio: «Questo è il motivo per cui stento a farmi dare lezioni di democrazia». Il pubblico inneggia «Giorgia, Giorgia». Fini la guarda e con un sorriso di approvazione annuisce e le dice: «Sei stata brava». A volte anche i democratici antifascisti hanno bisogno di un moto di orgoglio. Nic. Imb.

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