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La svolta di Scajola

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Ma nell'agenda di Scajola non c'è solo l'Alitalia. Sul nucleare si stanno facendo passi in avanti e anche per il partito unico del Pdl, il ministro rivendica un ruolo diprimo piano. Sicuro di non esagerare in ottimismo? Con la crisi economica le aziende riducono investimenti e personale, come si può pensare che siano disposte a accogliere a braccia aperte gli esuberi Alitalia? «Negli ultimi due anni 12 mila dipendenti di aziende in crisi sono stati ricollocati in aziende sane. Non vedo perché non possa accadere lo stesso per i dipendenti di Alitalia, molti dei quali sanno le lingue e sono ben professionalizzati». Che tipo di incentivi metterete in campo per favorire il reintegro? «Nessun incentivo specifico, solo quelli già previsti dalle norme in vigore». Il costo per lo Stato è oneroso, non sarebbe stato meglio vendere a Air France? «Lo Stato ha speso miliardi negli ultimi 15-20 anni per Alitalia, ma il progetto di cessione di questi giorni non costerà un solo euro all'Erario. La cordata di Colaninno acquisterà gli asset di Alitalia al prezzo di mercato, stabilito da una perizia. I dipendenti in esubero godranno di tutti gli strumenti già previsti: cassa integrazione, mobilità, incentivi per il ricollocamento, che non sono aiuti all'azienda, ma ai lavoratori. Svendere ad Air France avrebbe significato cedere al nostro primo concorrente turistico uno strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo come la compagnia di bandiera. Comunque il dilemma non si è mai posto, perché Air France ha ritirato la propria offerta d'acquisto dopo la bocciatura dei sindacati». Di nuovo il sindacato che mette i bastoni tra le ruote? «La crisi Alitalia ha molti padri e non credo che il sindacato abbia le colpe maggiori. Certo, Alitalia è sempre stata ipersindacalizzata con un'alta conflittualità che non è un toccasana per una compagnia aerea. Però per esempio il fallimento dell'alleanza con l'olandese Klm, che avrebbe portato Alitalia al vertice delle compagnie europee, non fu colpa dei sindacati, ma della politica nazionale e locale, che non seppe garantire il decollo di Malpensa nei tempi previsti, come chiedevano gli olandesi». Il ministro Brunetta ha detto che bisogna proseguire la trattativa anche se i sindacati dicono no. Lei che ne pensa? «Non è stato il Governo a dire che l'accordo dei sindacati è essenziale per la prosecuzione del piano. Lo ha detto Passera a nome della cordata di imprenditori. E mi pare condivisibile». Il centrosinistra sostiene che il piano porta alla creazione di una piccola compagnia poco competitiva con il rischio di fallire tra un paio d'anni. Il quotidiano La Tribune scrive che nel 2013 la nuova Alitalia passerà tutta a Air France. In tutte e due i casi non è una bella prospettiva. «Il Piano Intesa prevede di rilanciare Alitalia che, con la necessaria alleanza internazionale, tornerà competitiva e presente in tutto il mondo. Del resto, se anche la nuova Alitalia fosse destinata al fallimento, non si spiegherebbe perché le tre maggiori compagnie europee, Air France, Lufthansa e anche British Airways si siano candidate come alleate». Che pensa della proposta di Marrazzo di far entrare la Regione Lazio nella cordata? «È giusto che le Regioni e i Comuni interessati seguano la vicenda, ma mi pare che la Regione Lazio abbia altri compiti, a cominciare dalla riduzione del debito sanitario da quasi 10 miliardi. E poi una piccola quota societaria non garantirebbe agli enti territoriali più poteri di quanti già ne abbiano, come hanno sottolineato anche esponenti del Pd come Linda Lanzillotta e Nicola Rossi». Chi ci assicura che di qui a qualche anno la cordata di Colaninno non si disfi della Cai vendendola a qualche compagnia straniera? «Le norme vigenti sugli interventi in aziende in crisi prevedono che gli acquirenti non possano cedere gli asset per due anni. Poi i soci della cordata si sono impegnati tra loro a rimanere per cinque anni. E non si tratta di finanzieri che puntano all'affare, ma di fior di industriali che hanno in Italia gran parte delle loro attività». La vicenda Alitalia si inserisce in una situazione di crisi economica. La Finanziaria non fornisce tanti interventi per la crescita del Paese, o no? «L'Italia è da molti anni il fanalino di coda della crescita europea. E oggi che la crescita rallenta ovunque, noi siamo alla stagnazione. La crescita è l'obbiettivo centrale dell'azione del Governo. Per questo abbiamo varato subito la manovra economica triennale che stabilizza i conti pubblici senza aumentare le tasse e prevede numerose misure per rilanciare la produttività delle imprese, dagli sgravi fiscali per straordinari e premi di produzione alle semplificazioni burocratiche (sportello unico, impresa in un giorno, libro unico sul lavoro) che faranno risparmiare oltre 4 miliardi l'anno alle imprese, soprattutto a quelle minori, fino alla nuova politica energetica con il ritorno al nucleare che ha lo scopo di azzerare quel 30% di costi in più sull'energia che gravano sulle nostre imprese rispetto agli altri Paesi europei». Al primo punto del suo programma di governo c'è la costruzione delle centrali nucleari entro la fine della legislatura. A che punto è il piano? «Il ritorno dell'Italia al nucleare con l'avvio di un primo gruppo di centrali entro la legislatura è solo il più capitolo più visibile della nuova politica energetica nazionale che stiamo realizzando per garantire più sicurezza agli approvvigionamenti e ridurre i prezzi. Entro l'anno avremo le norme per la scelta dei siti delle future centrali e definiremo la nuova Agenzia per la sicurezza. Parallelamente stiamo accelerando le nuove infrastrutture per aumentare le fonti geografiche di approvvigionamento e per fare diventare l'Italia un "hub energetico" del Sud Europa e del Mediterraneo. Il nuovo rigassificatore sottomarino di Rovigo da 8 miliardi di metri cubi, pari a un decimo del consumo nazionale, sta navigando verso l'Adriatico dove lo inaugureremo in autunno e abbiamo già dato il via al rigassificatore di Porto Empedocle. Il 7 agosto sono stato in Tunisia per avviare un nuovo elettrodotto e ne ho autorizzato uno con l'Albania». Mister Prezzi, funziona davvero? I generi alimentari rincarano e il prezzo della benzina non accenna a diminuire. Che fare? «Bisogna ricordare a tutti che viviamo in un'economia di mercato dove i prezzi sono liberi, salvi i comportamenti anticoncorrenziali e i reati espressamente previsti dal codice, come l'accaparramento. Dunque il Governo non può imporre i prezzi per decreto, come accadeva in Unione Sovietica o come accade ancora oggi a Cuba. Con il risultato che i prezzi erano bassi, ma non c'erano i prodotti. Detto questo, penso che la funzione di sorveglianza di Mister Prezzi sia molto utile per avere prezzi trasparenti, per sorvegliare che non ci siano comportamenti anticoncorrenziali, per ridurre e rendere visibili comportamenti speculativi. L'inflazione è scesa in agosto al 4%, dal 4,1 di luglio: dunque si comincia a percepire un primo lieve rallentamento, che mi auguro prosegua, se il prezzo del petrolio e delle altre materie prime continuerà a calare. Quanto alla benzina, abbiamo varato la liberalizzazione della rete distributiva per ridurre il divario con i prezzi europei e vigiliamo affinchè le imprese petrolifere ribaltino tempestivamente sui prezzi al consumo i ribassi del petrolio». L'inflazione preoccupa? «Vorrei ricordare che negli Anni Settanta, al momento del precedente shock petrolifero, che per intensità fu analogo a quello di quest'anno, l'inflazione era schizzata al 22-24%. Anche il 4% ci preoccupa perché l'inflazione obbiettivo dell'Europa è il 2%. Sulle tariffe elettriche e del gas, l'Autorità deciderà solo a fine settembre se autorizzare aumenti per il trimestre ottobre-dicembre. E sulla base dell'andamento del petrolio confido che questi aumenti siano inferiori a quelli temuti e già propagandati come certi da alcuni centri studi. Quanto alle bollette, le stiamo ripulendo da oneri impropri o storicamente superati». Lei è uno della vecchia guardia di Forza Italia. Altri come Pera e Pisanu sono stati messi nell'angolo, come ha fatto a vincere sulla bufera dei quarantenni? «Non mi piace questa visione agonistica della politica. E poi non mi sento neanche troppo vecchio. Capisco che ai giornali piaccia la lotta, ma la politica non è un ring, o almeno non sempre. Io sono sempre stato a disposizione del partito, sia nell'accettare, sia nel lasciare le cariche». Rientro dell'Udc nel Pdl, è possibile e a quali condizioni? «È una domanda che va posta a Casini. L'ingresso nel Pdl gli era stato offerto prima delle elezioni, alle stesse condizioni di Forza Italia e di An, cioè la rinuncia al simbolo e la prospettiva di confluenza nel partito unico. Casini allora ha scelto diversamente. Se dovesse ripensarci, io personalmente non avrei alcuna obiezione ad accoglierlo». Vede in caso affermativo l'ipotesi di un rimpasto di governo? «In linea di principio, è bene che governi la maggioranza scelta dagli elettori». Non c'è il rischio che Casini possa riproporre i problemi del passato alla coalizione? «L'adesione al nuovo grande Partito della libertà non consentirebbe i personalismi del passato, figli di uno schieramento di coalizione». Apertura alla Destra o no? «Alle condizioni di cui sopra non avrei problemi. Siamo in uno schema bipolare e in una cultura politica ormai depurata dalle vecchie ideologie del secolo scorso. Un grande personaggio della Prima Repubblica diceva che la politica è "ars associandi", cioè l'arte di associare anche soggetti apparentemente diversi e lontani attorno a un progetto condiviso». Come si dovrebbe configurare il nuovo partito del Pdl? «Sarà il partito della gente, di un nuovo rapporto tra i cittadini e le istituzioni, il cui primo compito dovrà essere quello di ricostruire una comune identità nazionale, soprattutto nella futura Italia federale. Penso a un partito snello, i cui dirigenti siano scelti per capacità e rappresentatività, che utilizzi molto i nuovi strumenti della comunicazione come internet, per tenere aperto un dialogo costante con i suoi iscritti, con i suoi elettori e con tutti i cittadini». La reggenza del Pdl, come va decisa? «La Costituzione dice che i partiti concorrono a determinare la politica "con metodo democratico"». Verdini prospetta un partito al 50%, è realistico o pecca di eccessivo ottimismo? «Prima o poi arriveremo a un vero bipolarismo in cui si confronteranno due schieramenti e uno prenderà più del 50%. Spero ovviamente che sarà il nostro». Il rapporto con l'opposizione: il dialogo con il Pd passa attraverso la Lega? «Per quanto mi riguarda ho sempre avuto buoni rapporti con gli esponenti dell'opposizione che seguono le materie del mio dicastero e continuerò a ricercare il confronto e il dialogo nella sede propria che è il Parlamento».

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