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Di Pietro ruba la piazza a Walter

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Quel che resta (e riemerge) dei girotondini sposta il tiro dal centrodestra al centrosinistra. E, come se non bastasse, il bizzoso alleato Antonio Di Pietro gioca d'anticipo sulle proteste di piazza e annuncia una manifestazione romana che si svolgerà due settimane esatte prima di quella organizzata da Veltroni e i suoi in piazza San Giovanni. A questo va aggiunto l'irrobustirsi della fronda «domestica», che ogni giorno guadagna nuovi adepti. Insomma, sono tempi duri per l'ex sindaco di Roma. L'ultima notizia che deve avergli fatto andare di traverso il caffè, l'ha letta ieri sul Riformista. «L'11 ottobre lanceremo con una grande manifestazione nazionale la raccolta delle firme per la nostra campagna referendaria contro il lodo Alfano», fa sapere il leader dell'Idv. Sul palco della festa democratica di Firenze era stato «bacchettato» dalla Bindi proprio per non aver comunicato preventivamente ai compagni d'urna l'iniziativa di piazza Navona e del referendum: «Una telefonata potevi farla!», lo aveva rimproverato Rosy. Avrà avvertito questa volta? Ne dubitiamo. Oltre al siluro della «giornata della legalità», Di Pietro barrica la strada del dialogo maggioranza-opposizione («Non si può discutere di una riforma di cui non si sa un bel nulla. Figurarsi "dialogare". E su quali basi?») e attacca il Pd sul caso Unipol: «I parlamentari coinvolti - spiega sul Riformista - si alzino in piedi e chiedano che sia dato il via libera all'utilizzo di quelle intercettazioni. Latorre faccia come Prodi e Fassino». Da un teatro, invece, quello del «Vittoria» al Testaccio, giungono gli strali delle staffette morettiane. «Basta con il ricatto del male minore - va all'assalto Flores d'Arcais - È ora di riprendere in mano il destino dell'opposizione», incita il direttore di Micromega, facendo intravedere la nascita di una lista della «società civile» incastonata nell'Idv alle prossime elezioni. Marco Travaglio, messi da parte per un attimo quelli del Cavaliere, se la prende con i conflitti d'interesse democratici: «Nessuno che dica a Matteo Colaninno "levati dai coglioni" - tuona il rubrichista dell'Unità - Fa il ministro-ombra del Pd e dovrebbe denunciare le porcate che fa il padre con Berlusconi su Alitalia». Infine, per vendicarsi dell'esclusione alle feste del partito, chiede ai suoi estimatori di salire sul palco per dire ai politici da loro eletti: "fate schifo, mi vergogno di avervi votato"». Da non sottovalutare, poi, le spine interne. Oltre al «solito» Parisi, ci sono le critiche («Si sente la mancanza di una guida») e la richiesta di D'Alema («Il governo del Pd va rafforzato») su un allargamento del gotha al comando di piazza Sant'Anastasia. E «baffino» non è solo. Franco Marini non usa mezzi termini: stop «al partito frou frou - sancisce - ci vogliono dirigenti autorevoli». Lo stesso Gentiloni, pur schierato dalla parte di Walter, non può fare a meno di sottolineare che «basta girare per le nostre feste per raccogliere la sensazione di un percorso che si è fermato». Il piccolo principe si adombra. E contrattacca, anche se lo fa «pacatamente». Definisce Di Pietro «un demagogo» e lancia un messaggio ai suoi oppositori: «Non si possono tagliare ogni giorno i rami di quest'albero, di una forza che ha il voto di un italiano su tre». Anche perché, fa capire Veltroni, su quei rami ci siamo seduti tutti. Un monito già lanciato, a suo tempo, da Prodi. Ma che al Professore non è servito a nulla.

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