Velardi: «È in crisi la convivenza civile»
Oggi, sei mesi dopo, Claudio Velardi, ex braccio destro di Massimo D'Alema, confessa: «Ho pensato di mollare tutto». Quando? «A maggio. Ero arrivato a Napoli a febbraio, nel pieno della crisi dei rifiuti. Poi siamo usciti dall'emergenza e abbiamo fatto una nuova campagna». Quella di «Monnezza a chi?», vero? «Esatto. Subito dopo riesplode l'emergenza dei rifiuti. Non ne avevo avuto notizia, nessuno di quelli che sono attorno a me mi aveva avvisato. Mi sono sentito solo, avrei mollato». E oggi? Rifiuti, Gomorra, ultras del tifo. Proviene tutto da Napoli? «Non c'è dubbio che la città vive uno dei momenti più brutti, inutile negarlo. Anche se tendo a distinguere». Distinguere cosa? «I vari casi. Gomorra è una rappresentazione, gli altri sono problemi reali». Una rappresentazione di una realtà, però. «Sì, ma guardi. Il punto è che ormai si è innescata una spirale negativa. È uno dei fenomeni classici della comunicazione. Quando il mood è quello, basta che si aggiunga un piccolo caso negativo che viene ingigantito». Che fa, assessore? Nasconde la monnezza sotto al tappeto? «No, per carità. Non nascondo nulla. Però siamo onesti tutti. Ci sono eventi negativi e anche tante cose positive che è ben difficile far venire fuori». E come si esce da tutto ciò? «Con tanto lavoro, tanta fatica, seminando. Ci vorrà del tempo, molto tempo». Senta, a Napoli sembra sia venuta meno la tenuta civile. C'è stata una caduta del livello di civiltà? «C'è stato un allentamento dei principi di convivenza civile. A cui ha contribuito anche la crisi dei rifiuti». In che modo? «Nel senso che anche chi compiva gesti quotidiani di civiltà, che a Napoli non c'è dubbio siano più difficili che altrove, ha visto nella crisi dei rifiuti un tracollo. Persino della speranza». Ma come si è potuto giungere fino a questo livello? «È una crisi che viene da lontano. La città sta affrontando una grandissima crisi di identità dovuta essenzialmente alla deindustrializzazione. Napoli era una grande città industriale, nel giro di pochi anni ha perso tutto». Assessore, l'Italsider di Bagnoli ha chiuso nel '92. «Da allora non ha saputo reinterpretarsi. Non ha saputo sfruttare la sua vocazione turistica e di terziario avanzato». Torino c'è riuscita. «Certo, Napoli no. E non nascondono che anche la sinistra qui ha commesso errori enormi. È passata da una vocazione industrialista allo spirito ecologico e dunque di vincoli». Ma la sinistra migliorista era molto più avanti: è stata emerginata e non criminalizzata. Perché? «I riformisti hanno sempre perso le loro battaglie». È per questo che Napolitano fa il presidente della Repubblica e non il sindaco di Napoli? «Battuta efficace ma realistica. Ma guardi, il fallimento è di tutta la classe dirigente napoletana». Anche quella culturale? «Anche quella culturale. Chi è rimasto ha commesso errori di analisi. Il resto è fuggito via e questo rende ancora più complessa la ripresa». Ma perché Napoli crolla e Salerno cresce? «Salerno è bene amministrata, cresce economicamente e socialmente. E aggiungerei anche il Sannio e l'Irpinia crescono. Ma gestire un'area metropolitana come quella di Napoli e Caserta, così densamente abitata, è molto diverso: è un gran casino». Per risolvere i problemi bisogna solo sperare in Berlusconi, Napoli non ce la fa da solo? «Sono problemi enormi, nessuno ce la farebbe da solo. Non mi preoccupa la città commissariata» Non sarebbe ora che la classe dirigente faccia un passo indietro? «Certo, non ho timore a dirlo. E qui mi fermo».