Nicola Imberti [email protected] Voleva candidarsi alle ...
«Per come si sono svolte le cose - scrisse nella lettera inviata a chi sosteneva la sua candidatura -, quello che avrebbe potuto essere un arricchimento del nostro percorso rischierebbe oggi di diventare un elemento di disorientamento». Voleva fare il capogruppo del Pd alla Camera. Massimo D'Alema fece molto per sponsorizzarlo. Arrivò fino al punto di chiedere ad Anna Finocchiaro, in corsa per la riconferma di capogruppo al Senato, di fare un passo indietro per favorire l'elezione dell'ex ministro. Non se ne fece niente e, alla fine, Bersani dovette accontentarsi di 10 voti (più 35 schede bianche che in molti attribuirono alla componente dalemiana) e assistette immobile all'elezione di Antonello Soro. Come «risarcimento» ottenne un posto nell'organismo ristretto nato per guidare il partito dopo la sconfitta elettorale e uno nel governo ombra come titolare del «fantadicastero» dell'Economia. Un po' poco per chi, dopo essersi distinto come uno dei ministri più attivi del governo Prodi, coltivava ambizioni da leader. Sarà forse per questo che, appena Walter Veltroni ha cominciato a perdere colpi, Bersani si è subito ritagliato un posto in prima fila. L'ultima settimana ne è l'esempio concreto. Con il segretario a Denver impegnato a soddisfare la propria «Obamania», ci ha pensato l'ex ministro a tenere alta la bandiera dell'opposizione. È stato lui l'esponente del Pd a cui è stato affidato il compito (assieme a Sergio Chiamparino), durante il primo dibattito politico della Festa Democratica di Firenze, di tenere testa a Umberto Bossi e Giulio Tremonti. Bersani non si è certo spaventato e ha incalzato il ministro dell'Economia regalando alla platea, smarrita e incredula dopo l'invito rivolto agli esponenti del governo, gli unici sprazzi di «vera» opposizione. Da quel momento in poi l'esponente Pd non si è più fermato. Federalismo, Alitalia, anche una battuta sulla riforma scolastica. Il «fantaministro» non ha mai mollato la presa dimostrando che, soprattutto sui temi economici, il Pd ha una linea chiara e alternativa a quella della maggioranza e non ha nessuna intenzione di mostrarsi arrendevole. Certo, qualcuno sostiene che basta un buon ufficio stampa per avere un po' di visibilità, ma il Bersani che attacca piace soprattutto alla base alla ricerca di un leader, ogni giorno di più. E piace anche all'esterno come dimostra l'invito ricevuto dal Meeting di Rimini che lo considera, assieme ad Enrico Letta, tra i pochi con cui è possibile dialogare all'interno del Pd. Nelle stanze del Nazareno, poi, c'è chi continua a considerare Bersani come un ottimo candidato alla segretario del partito. Su tutti Massimo D'Alema che, non a caso, annovera l'ex ministro tra coloro che hanno aderito all'associazione «Red». Ultimo punto a favore dell'ex ministro è sicuramente l'ottimo rapporto con Enrico Letta. I due sono amici da diversi anni e hanno molte idee in comune. Inoltre godono della stima degli ambienti imprenditoriali, soprattutto al Nord. Quando il suo nome circolava come possibile candidato alle primarie qualcuno disse che Bersani, da solo, avrebbe raccolto il 50% in Emilia, il 40 in Lombardia e, in ticket con Letta, avrebbe sfiorato il 50% in Veneto. A nessuno sfugge che oggi è proprio dal Nord che arrivano i problemi più grandi per Veltroni accusato di voler dar vita ad un partito troppo «romanocentrico». Ecco allora che la coppia potrebbe rappresentare un'ottima alternativa. Non subito però. Quando, alcuni mesi fa, venne chiesto a Letta di spiegare la natura dell'asse che lo legava a Bersani l'ex sottosegretario dribblò la domanda e disse: «Credo che in questi giorni ci sia stato un eccesso di attenzione al gossip e alla discussione interna al partito, senza considerare che il congresso è ancora lontano». Insomma, tempo al tempo.