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Tutti intercettati

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Colpa (o merito) delle intercettazioni e di Panorama che ieri ha deciso di rendere pubblico il contenuto di alcune telefonate del Professore e dei suoi più stretti collaboratori. «Niente di penalmente rilevante» sottolinea l'ex premier, ma abbastanza per scaldare il clima. Le conversazioni, che risalgono all'estate del 2007, sono state intercettate nell'ambito dell'inchiesta sulla vendita dell'Italtel dell'Iri alla Siemens avvenuta quando Prodi era alla guida dell'istituto. Sotto controllo il telefono di Alessandro Ovi, braccio destro del Professore a quei tempi e poi con lui a Palazzo Chigi. Ed è proprio lì che Ovi si trova a gestire alcuni dossier che interessano l'ex premier. Come quello che riguarda il consuocero del Professore Pier Maria Fornasari apprezzato primario all'istituto ortopedico Rizzoli di Bologna. Fornasari è alla ricerca di contributi per le sue attività e chiede aiuto a Prodi che si mobilita subito e fissa anche incontri ad hoc con i ministri Livia Turco e Fabio Mussi. Stesso trattamento per il nipote del Professore Luca Prodi alla ricerca di un partner industriale per l'azienda di cui possiede il 20%. Anche qui Prodi interviene direttamente coinvolgendo il suo amico Claudio Cavazza presidente del colosso farmaceutico Sigma Tau. E sempre a Cavazza sarebbe stato chiesto un contributo per il Pd. In cambio lui avrebbe chiesto, non ottenendolo, la defiscalizzazione per la sua fondazione. Insomma il quadro che emerge è quello di un presidente del Consiglio impegnato nella gestione di alcuni «affari di famiglia». Ma a scatenare la polemica non sono le intercettazioni in sé quanto l'interpretazione che ne viene data. Per Prodi, infatti, si tratta di un caso costruido ad hoc per accelerare una legge più restrittiva sul tema. Così, quando Silvio Berlusconi esprime la sua personale solidarietà invocanco una riforma, il Professore parte all'attacco e chiede che vengano rese note tutte le sue telefonate. «Non vorrei - afferma Prodi - che l'artificiale creazione di questo caso politico alimentasse il tentativo o la tentazione di dare vita, nel tempo più breve possibile, ad una legge sulle intercettazioni che possa sottrarre alla magistratura uno strumento che in molti casi si è dimostrato indispensabile. Da parte mia non c'è alcuna contrarietà al fatto che tutte le mie telefonate vengano rese pubbliche». La mossa di Berlusconi non convince neanche il segretario del Pd Walter Veltroni che da Denver parla di «solidarietà falsa e non ispirata a principi e pensieri reali». «Sarebbe bastato infatti - dice - che i giornali di sua proprietà non pubblicassero quelle intercettazioni» che il «caso» non sarebbe scoppiato. Ma se qualcuno pensa «di utilizzare» questa vicenda, avverte, «per impedire alla magistratura italiana di fare tutto intero il suo lavoro si sbaglia. E di grosso». E mentre il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto equipara le intercettazioni di Berlusconi con quelle del suo predecessore e chieda a gran voce la riforma, anche il presidente del Senato Renato Schifani esprime vicinanza a Prodi ed auspica che si faccia al più presto una legge. Stessa posizione da Niccolò Ghedini, deputato del Pdl e legale del premier, che chiede «non una legge bavaglio», ma che punisca le «talpe» che forniscono le intercettazioni ai giornali.

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