RIMINI Giovanni ha 51 anni ed è di ...

Sulla pelle interna del braccio sinistro «impressa» una scritta: «La violenza è la mia legge». Ma quando ti parla faccia a faccia, Giovanni ha lo sguardo di un bambino incredulo davanti a ciò che sta accadendo. «È da molti anni che non vedevo tanta gente» dice. La «gente» è il popolo del Meeting di Rimini accalcata per entrare alla mostra «Libertà va cercando, ch'è sì cara - Vigilando redimere». Una mostra fatta di fotografie, lettere scritte da detenuti ma, soprattuto, testimonianze viventi. Una decina di condannati per vari reati che, in carcere, hanno scoperto cosa significa essere veramente liberi. No, non è un paradosso, perché, come spiega Dario (42 anni di cui un terzo trascorso in cella) «si può essere liberi fuori, ma anche dentro un carcere». Come? Basta prendere coscienza che «un uomo, qualunque delitto abbia commesso, ha sempre una possibilità di cambiare e redimersi». Giovanni e gli altri che in questi giorni stanno «monopolizzando» l'attenzione del Meeting, lo hanno scoperto grazie alla Cooperativa sociale Giotto nata alla fine degli anni '80 a Padova dove opera all'interno del carcere «Due Palazzi». I settori sono diversi: progettazione, servizi di custodia e informatici, call center, pasticceria. Ed è proprio quest'ultima che è stata trasferita per una settimana a Rimini, esempio concreto di come, attraverso il lavoro, un detenuto può «rinascere». «Non si tratta di assistenzialismo — spiega il responsabile Luca Passerin — ma di un'azienda vera e propria che lavora con le regole del mercato. Ogni detenuto, dopo un percorso di affiancamento, viene assunto e percepisce uno stipendio che viene gestito dall'amministrazione penitenziaria. La vita in carcere costa. Abbiamo anche un sito www.idolcidigiotto.it dove vendiamo i nostri prodotti dolciari». Ed è in pasticceria che, alle prese con gli impasti di colombe e panettoni, si muove Giuseppe, siciliano di 39 anni. Anche lui è finito in prigione per una lite sfociata in omicidio. «Quando sei giovane credi di poter fare qualsiasi cosa — racconta — poi succede che finisci in carcere e chiuso tra quattro mura, cominci a pensare alla tua vita. All'inizio studiavo e facevo corsi di formazione soprattutto per uscire dalla mia cella, poi ho cominciato a lavorare e la mia vita è cambiata». Ora fa il pizzaiolo in un ristorante gestito dalla cooperativa, è in regime di semilibertà e lascia il carcere tutti i giorni per rientrare la notte. Separato ha due figli. Il più grande (19 anni l'altro ne ha 14) si è trasferito a Padova e lavora con lui in pizzeria.Nic. Imb.