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Dini: "Walter, fai una proposta"

Lamberto Dini

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Di italiani ce ne sono pochi: Scalfaro, Ciampi. Insomma, un pezzo del recente passato e del presente d'Italia. Il presidente della commissione Esteri si lascia andare e ragiona sul futuro: «La crisi internazionale che trova la sua origine negli Usa a seguito del crollo dei subprime e dei prodotti derivati si sta propagando nel mondo. Ed è molto più grave di quello che si potesse pensare. In un certo senso aveva ragione Giulio Tremonti quando aveva messo tutti in guardia». E l'Italia? «L'Italia ne esce abbastanza bene perché pochi sono gli istituti che avevano comprato quei pacchetti immobiliari». Anche l'Economist parla di «Unhappy America». Quanto può pesare il fattore psicologico? «Gli Stati Uniti devono confessare e dire mea culpa. Perché quello che sta accadendo è il risultato di politiche economiche e monetarie sbagliate dell'amministrazione Bush». Per esempio quali? «Fin dall'inizio ha trasformato un avanzo strutturale in un deficit. Sia con la riduzione delle imposte sia con gli aumenti di spesa. Quello che era un avanzo che aumentava fino al 4,5% del prodotto nazionale si è risolto di un deficit del 5% del pil». Quindi anche secondo lei gli Usa devono cambiare, com dice Obama? «Assolutamente devono cambiare. Chiunque sarà il nuovo presidente, la politica dovrà cambiare. Gli Usa hanno vissuto tutti questi anni al di sopra dei loro mezzi. Oggi sono fortemente indebitati all'estero, basti pensare alle riserve in dollari di Cina, Giappone o dei Paesi esportatori di petrolio: sono cifre di migliaia di miliardi di dollari». La Cina comunque ha già cominciato ad investire da sei anni in euro. «Poco, avrebbe dovuto cominciare prima e ora hanno le mani legate». Torniamo agli Usa. Cosa cambia se vince Obama o McCain? «Ripeto, chiunque sarà il presidente dovrà seguire politiche economiche che sono l'opposto di quelle seguite durante l'amministrazione Bush per raddrizzare una situazione veramente difficile. E comunque passerà attraverso un periodo di recessione che può durare un anno o due prima che si possa risolvere». Un anno o due? «Uno dei punti importanti è quando si stabilizzerà il mercato immobiliare. C'è l'accumulo di case che entrano sul mercato perché le banche le riacquistano e provano a rivederle, quello che hanno nella loro pancia i costruttori: per smaltire tutto questo io credo che sarà necessario un anno, un anno e mezzo prima dell'inversione di tendenza. Prima, l'economia Usa non si riprenderà. Nel frattempo la nuova amministrazione dovrà raddrizzare le finanze dello Stato». E l'Italia? «Dobbiamo aumentare il livello della produttività, cresciamo troppo poco. E dobbiarlo farlo investendo nei settori con più alto valore aggiunto: così la Germania sta superando questa fase delicata. Con quello che si prevede non c'è da stare allegri». Come giudica la Manovra di Tremonti? «La giudico positivamente, favorevolmente. Il governo Berlusconi sta facendo quello che il governo Prodi è stato incapace di fare: ridurre la spesa corrente primaria con l'obiettivo di eliminare il disavanzo entro il 2011 con una decisa manovra triennale. L'aggiustamento dei nostri conti pubblici, visto l'alto livello di debito, non può essere arrestato semplicemente perché abbiamo una situazione di bassa crescita. Deve inevitabilmente andare di pari passo perché questo ce lo impone la nostra appartenenza all'Ue, all'euro e i mercati internazionali. Dobbiamo anche trovare il modo di proteggere le categorie più deboli della nostra società. Inoltre, aver anticipato i contenuti nel decreto di luglio e agosto è una grande riforme strutturale». Non di poco conto? «Certo, il Parlamento veniva bloccato dalla fine di settembre alla fine di dicembre con l'assalto alla diligenza. Generalmente la Finanziaria è sempre uscita peggiorata. Una "Finanziaria triennale" come quella approvata in questi giorni dal Parlamento è una fondamentale riforma strutturale che stabilizzerà le aspettative con grandi vantaggi per tutto il Paese». Il problema principale resta la riduzione della spesa. Che cos'altro si può fare? «Il blocco del turn over è una decisione forte e anche molto importante. Con il governo Prodi era uno dei sette punti che avevo chiesto di realizzare, ma non si riuscì a metterlo in pratica. Stavolta l'esecutivo l'ha fatto e il rapporto di un ingresso per ogni dieci che escono produrrà risparmi che perdureranno. Stando ai conti del governo usciranno dalla pubblica amministrazione usciranno ogni 120mila persone. Si tratta di un taglio sacrosanto e molto coraggioso. Si può andare avanti per esempio sulla scuola, che in Italia serve più a sostenere gli insegnati che gli alunni. Il ministro dell'Istruzione ha poco da strillare». E quali sono le priorità per settembre a suo avviso? «Sono cofirmatario della mozione Bonino-Dini sulla giustizia che prevede l'abolizione dell'obligatorietà dell'azione penale, responsabilizzazione del pm per l'osservanza delle priorità, la revisione del Csm, la separazione delle carriere...». E sulle riforme istituzionali? «Mi auguro che la riforma che sarà presentata a settembre preveda l'abolizione delle provincie. Si eliminerebbe un livello di governo e si toglierebbero di mezzo tutti gli apparati politici che si reggono su questi enti locali». Che cosa ne pensa invece delle diatribe interne al Pd visto che lei è stato anche lì dentro? «No, al Pd non ho mai aderito. Sono uscito proprio per quello e le mie critiche di allora si stanno puntualmente verificando oggi. E si riferiscono a un processo che è stato troppo veloce, con primarie finte, che ha finito per lasciare sul tappeto tutte le questioni aperte: a cominciare dall'iscrizione a quel gruppo dopo le prossime europee per finire alle diatribe interne al gruppo dirigente del vecchio pci da dove provengono tutte le principali fibrillazioni». Ma che cosa si sente di consigliare a Veltroni? «Di non fare solo ostruzionismo o critiche. Di fare proposte. In questa legislatura ancora ne devo ascoltare una in Parlamento».    

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