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Fini, il nuovo uomo del Colle Il grande feeling con Napolitano

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Mai tanto in sintonia, mai tanto sulla stessa linea. Tanto che a Palazzo Chigi quando parla l'ex presidente di An si preoccupano sempre e si domandano quanto ci sia solo di suo e quanto arrivi, invece, dal Quirinale. Al punto ormai da considerarlo una specie di «uomo del Colle». Per Fini non è una novità. Gli capitò già ai tempi di Cossiga presidente di fare quasi da portavoce al Quirinale. Ma in quel caso si trattò soprattutto di un'invenzione dell'allora addetto stampa dell'allora segretario del Msi, Francesco Storace. Altri tempi, Cossiga lasciò correre e stava al gioco. Stavolta il leader della destra non è alla guida di un partito che provava a rientrare nel gioco della politica, è la terza carica dello Stato. Napolitano e Fini, due storie opposte ma in fin dei conti simili. Che finissero con l'andare d'accordo lo si era intravisto già all'inizio della legislatura. Appena eletto alla guida di Montecitorio l'ex vicepremier si lasciò andare. «Il discorso che ha fatto Giorgio Napolitano, dando dignità a tutte le vittime del terrorismo, senza alcuna distinzione rispetto alla loro provenienza da destra o sinistra è un discorso che merita di essere scolpito negli annali della storia della Repubblica», disse l'11 maggio all'ultima assemblea nazionale di An a cui ha partecipato. Il ghiaccio s'è sciolto sul finire di giugno, quando il presidente della Repubblica avvisa che c'è il rischio ingorgo in Parlamento per i troppi provvedimenti. E Fini si augura subito che le sue indicazioni «abbiano seguito». Il feeling comincia via via che sale il clima sulla giustizia e via via che Berlusconi alza i toni. Il 30 giugno il presidente della Camera deve partecipare a un workshop della sua fondazione, Farefuturo, sulla politica estera e visto che è stato alla guida anche della nostra diplomazia Fini ci tiene molto. Ma non ci andrà. Perché prima chiederà a Schifani di andare da lui a Montecitorio e poi con il presidente del Senato, ma separatamente, salirà sul Colle. Napolitano quello stesso giorno frenerà il Csm che sta per emettere un giudizio pesante contro la blocca processi. E il giorno dopo i presidenti di Camera e Senato apprezzano. Il due luglio Berlusconi va a pranzo al piano nobile di Montecitorio dove il suo ex vicepremier gli dirà apertamente che sta sbagliando sulla giustizia. Il 12 tranquillizza il Quirinale: l'ok al trattato di Lisbona arriverà prima della pausa estiva. Ma nove giorni dopo ancora i numeri uno di Montecitorio e Palazzo Madama intervengono contro Bossi a difesa di Fratelli d'Italia. E Fini non usa parole rituali: «Nessuno, men che meno un ministro della Repubblica, deve pronunciare parole che offendono un sentimento che sta nell'Inno di Mameli e in quello che significa, al di là delle parole che lo compongono». Pochi giorno dopo il 25 luglio il governo vara lo stato di emergenza nazionale su tutta la Penisola per l'immigrazione. Il Quirinale storce il naso, Fini convoca d'urgenza il ministro dell'Interno Roberto Maroni a riferire (mentre Schifani lascia stare). Altri quattro giorni e il principale inquilino di Montecitorio avverte il governo di fare ricorso alla fiducia solo in casi eccezionali. Si smarca da Berlusconi svelando che il ritorno all'immunità parlamentare «sarebbe decisamente non comprensibile» mentre poco prima aveva fatto sapere che non si sarebbe avvalso del lodo Alfano. E, naturalmente, non manca il messaggio a Napolitano: «Dopo aver letto il suo discorso e le sue parole a proposito del voyeurismo in cuor mio ho detto che era ora che venissero dette cose del genere». Ancora fine mese, ancora il 30 luglio, ancora una data fondamentale. Fini riceve per due ore D'Alema, riparte il dialogo a tutto campo: dalla giustizia al federalismo. Poche ore dopo, il presidente della Repubblica, in maniera del tutto irrituale, commenta l'incontro avvenuto sì in una sede istituzionale, ma in forma del tutto informale. Commenta e apprezza. Apprezza e benedice: «Il fatto che ci sia stato un incontro tra il presidente della Camera Gianfranco Fini e Massimo D'Alema è sempre un fatto positivo. L'Italia ha bisogno di convergenze sulle grandi questioni su cui è indispensabile una larga convergenza come le riforme istituzionali, la giustizia ed il funzionamento del Parlamento». Amen.

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