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I disastri dello Stato imprenditore. Ultimo atto per la compagnia

Alitalia

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Avendo rigettato la proposta di Air France e non avendo neppure preso in considerazione l'ipotesi divenuta quasi ovvia a questo stadio del dissesto economico (portare i libri in tribunale), il governo si trova costretto a fare appello a quel solito gruppo di imprenditori e finanzieri italiani che sono sì disposti a "consegnare l'oro alla Patria" (pare per complessivi 700 milioni), ma che è facile presumere siano comprensibilmente orientati a chiedere in cambio - magari su altri tavoli - più che rilevanti compensazioni. Quando sul "Sole 24 Ore" di ieri Gilberto Benetton ha negato ogni nesso tra la convenzione di Autostrade e la probabile partecipazione al salvataggio della compagnia di bandiera, vi è chi ha malignamente pensato che in questi casi una scusa non richiesta ha tutta l'aria di un'autoaccusa manifesta. L'imprenditore veneto, ha pure sottolineato come sia davvero difficile mettere in piedi un'azienda come Alitalia in assenza di forti accordi internazionali. E proprio di queste ore è l'intesa tra Iberia e British Airways, da cui emerge un vero colosso internazionale e la conferma che la strada che conduceva a Parigi non era certo da scartarsi a priori. Tanto è vero che ora lo stesso Berlusconi ha fatto riferimenti a possibili intese industriali con l'azienda francese. C'è poi la questione degli tagli: più che necessari, indispensabili. Un'azienda che ogni giorno perde una cifra intorno ai due milioni di euro manifesta serissimi problemi strutturali ed esige quindi scelte coraggiose di fronte alle quali è bene che i sindacati non alzino le barricate. Ma non c'è da farsi illusioni, dato che la presenza massiccia della politica in tutta questa vicenda fa sì che i rappresentanti dei lavoratori sappiano bene di poter ottenere dal governo tutte le risorse necessarie per soddisfare i propri protetti. Così, non soltanto i contribuenti dovranno finanziare i prepensionamenti già in programma, ma con ogni probabilità dovranno pure sostenere i prevedibili cedimenti di un esecutivo che, considerando un problema di interesse nazionale la crisi di tale azienda, ora è debolissimo di fronte a ogni forma di rivendicazione. I cinquemila esuberi annunciati saranno quindi contestati con scioperi ed altre iniziative, alimentando un prossimo autunno che si annuncia molto caldo. Peccato. Mentre l'Italia non cresce e le tasse restano altissime, abbiamo sprecato risorse preziose in un salvataggio finanziariamente disastroso. E dire che in questi anni segnati dalla crisi di Alitalia il trasporto aereo italiano è cresciuto in maniera considerevole: grazie soprattutto ai vettori stranieri e alle compagnie low cost. L'intera vicenda dimostra, una volta di più, che lo Stato dovrebbe evitare di farsi imprenditore. Ma la lezione non è stata ancora appresa.  

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