Fabrizio dell'Orefice [email protected] ...
Piero Ichino invece è certo che sia incostituzionale. Per Savino Pezzotta è un esproprio del Parlamento, Pier Ferdinando Casini la vuole cambiare, Enrico Letta eliminare. Da cinque giorni le opposizioni si stracciano le vesti sulla norma sui precari che di fatto sostituisce l'eventuale reintegro con un indennizzo. Strano, perché dove avrebbero dovuto parlare era in Parlamento. E non l'hanno fatto. Dove potevano provare ad incidere, a modificare quel testo, hanno fatto scena quasi muta. La storia dell'emendamento anti-precari è davvero paradossale. Tutto comincia la sera di martedì 15 luglio nelle commissioni Bilancio e Finanze della Camera riunite assieme per l'esame della Manovra. Alle 21 Giancarlo Giorgetti, il presidente della Bilancio, annuncia che è stato presentato dai relatori Giorgio Jannone e Marino Zorzato (Pdl) l'emendamento 2.65, quello incriminato, e che è ammissibile ad eccezione della parte «diretta a escludere dal divieto di assunzioni alcuni enti locali» e di quella che «estende l'ambito delle attività che possono essere svolte dalle fondazioni riconosciute». Poi prende la parole Antonio Borghesi (Idv) che se la prende perché invece sono stati cassate alcune sue richieste di modifica. Quindi prende la parola un'esponente del Pd, Paola De Micheli, la quale però interviene sulla parte che impone un «tetto alle retribuzioni per i dirigenti per gli enti locali». Quindi tocca a un altro democratico, Pier Paolo Baretta. Uno pensa: oh, finalmente, uno che ha fatto il sindacalista, è stato al vertice della Cisl, lui si che può comprendere l'esplosività di quella norma. Ma niente, chiede al governo di chiarire la posizione sulle Authorities e sulla sicurezza. Tocca a Bruno Tabacci (Udc). Eh lui è un dritto, uno che queste cose le capisce al volo. Ma niente, s'attacca all'articolo 60, quello contestato anche dal Quirinale, e sulla riforma dei servizi pubblici locali. Segue un battibecco tra Baretta e Zorzato (Pdl) sulle autorità indipendenti. Quindi interviene un altro sindacalista, Sergio D'Antoni, oggi deputato del Pd. Se quella norma è sfuggita a Baretta, D'Antoni non può non accorgersene. Ma niente, anche l'ex segretario della Cisl parla sulla spesa sanitaria e sui ticket. Arriva un altro democratico, Lino Duilo. E finalmente uno che parla su quel famoso 2.65 e denuncia: «C'è un finanziamento di 2 milioni di euro per l'apicultura che proprio Tremonti aveva denunciato come simbolo delle clientele del centrosinistra». Altra democratica, stessa storia: Simonetta Rubinato torna sull'articolo 60. E avanti così, parlano Ventura (Pd), Cambursano (Idv). E si sospende, si riprende alle 23 e si parla di Mezzogiorno e interviene un altro esperto del Pd, Francesco Boccia, lettiano di ferro, che è stato anche capo del dipartimento economico di Palazzo Chigi nell'era Prodi. Se la prende sempre sugli stanziamenti al Sud e con lui anche colleghi di partito come Calvisi e Fulvi. Ci si incammina verso la notte, la seduta si ferma ancora alle tre. Alle cinque Giorgetti mette in votazione e l'emendamento passa. Poi sarà ricompreso nel testo maxi del governo in aula. E anche in aula il discorso non cambia. Parlano i big come Pier Luigi Bersani, che è ministro ombra dell'Economia. Ma niente, si sofferma sulle crisi mondiali, i mutui americani, la situazione italiana. E neanche il ministro ombra del Welfare, Cesare Damiano, aveva proferito verbo anche se nel suo intervento il 24 luglio in assemblea aveva protestato: «Vi servivano soldi? Dovevate toglierli dai favoritismi dei quali la casta si è ingrassata in tanti anni di malaffare e non dagli stipendi di chi non riesce ad arrivare a fine mese, ammesso che lo stipendio lo abbiano ancora, considerato come state trattando i precari». Così, una generica protesta. Ma nessun riferimento specifico alla norma anti precari. Il testo viene approvato e passa al Senato, dove un giornalista solerte dell'Agi legge il testo e scopre la magagna. E il caso scoppia.