Cossiga, solo un uomo libero
Chi mai potrebbe restituire alla politica italiana un uomo così imprevedibile, così creativo, così libero? Tanto libero da avere ceduto una volta alla tentazione di crearsi un partito, permettendo peraltro nel 1998 l'arrivo di D'Alema a Palazzo Chigi, e di rinnegarlo subito dopo per non rimanerne prigioniero. Solo un uomo imprevedibile, e libero, come Cossiga poteva permettersi all'esordio di questa legislatura di annunciare il proprio voto di fiducia al governo Berlusconi senza rinunciare ad un pesante e sferzante attacco al ministro dell'Interno Maroni, che non può certo essere considerato di seconda fila. Chiunque abbia tentato o ritenuto di "possedere" in qualche modo Cossiga per solidarietà di partito, di corrente, di schieramento e quant'altro, ha dovuto subire cocenti delusioni. Neppure il povero Moro, che lo aveva voluto ministro dell'Interno e se ne aspettava forse la riconoscenza, riuscì a portarselo dalla sua parte quando il drammatico sequestro compiuto delle Brigate rosse li fecero entrare in conflitto. Ancora oggi egli porta la sofferenza di quel passaggio, ammettendo di aver dovuto sacrificare la vita del "maestro", oltre che dell'amico, per tenere una posizione che, a torto o a ragione, considerava irrinunciabile per la sopravvivenza dello Stato all'attacco e al ricatto dei terroristi. L'anno dopo quella tragedia l'allora capo dello Stato Pertini tolse Cossiga a sorpresa dal sofferente ritiro politico e umano impostosi davanti alla salma di Moro, quando si dimise da ministro ed alcuni pensavano di poterlo "recuperare" come presidente del Consiglio di Stato. Pertini invece lo riportò non solo al governo, ma alla sua guida. Reduci da duri scontri con Craxi, arrivato ad un palmo da Palazzo Chigi, e nostalgici dell'esperienza della "solidarietà nazionale" con il Pci di Berlinguer, gli amici di partito e di corrente di Cossiga, che componevano la cosiddetta area Zaccagini, si aspettavano da lui una mano. E invece Cossiga avviò il recupero dell'alleanza con i socialisti. Ma, oltre ai suoi amici di partito, Cossiga procurò poi dispiaceri a Pertini, che dalla Spagna, dove era in visita ufficiale, minacciò la liquidazione del governo per via dell'aiuto che i comunisti contestavano al presidente del Consiglio di avere fornito a Carlo Donat Cattin per sottrarre alla cattura il figlio Marco, ricercato per delitti di terrorismo. Costretta dai risultati elettorali del 1983 a subire l'alternanza con il temutissimo Craxi alla guida del governo, la Dc allora guidata da De Mita volle Cossiga al Quirinale per contenere e contrastare lo scomodo alleato. Ma Cossiga protesse Craxi a tal punto da minacciare il ricorso ai Carabinieri per impedire che il Consiglio Superiore della Magistratura, nonostante le sue diffide, discutesse ed approvasse un documento contro il capo del governo, che si era permesso di criticare alcune iniziative giudiziarie. Ieri come oggi, sia pure senza la minaccia di ricorrere ai Carabinieri, verrebbe voglia di dire pensando alle cronache attuali del Consiglio Superiore della Magistratura. Non per questo, tuttavia, Cossiga risparmiò a Craxi grosse delusioni. Gli negò nel 1987 l'aiuto a resistere alla decisione della Dc, sempre di De Mita, di interrompere la sua esperienza a Palazzo Chigi e di andare alle elezioni anticipate con un governo di soli democristiani presieduto da Fanfani. Per la cui bocciatura, necessaria allo scioglimento delle Camere, i parlamentari dello scudo crociato arrivano ad astenersi per neutralizzare la fiducia annunciata a dispetto dai socialisti. E ancora a Craxi cinque anni dopo Cossiga, dimettendosi con il suo metaforico "piccone" da presidente della Repubblica con qualche settimana soltanto di anticipo rispetto alla scadenza ordinaria del mandato, evitò di conferire l'incarico di presidente del Consiglio, al quale la Dc di Forlani era disponibile. Ma fu sempre lui, Cossiga, ad accorrere a manifestare, anzi ad ostentare la sua solidarietà all'ormai ex leader socialista, rifugiatosi ad Hammamet per sottrarsi al carcere, cui si considerava ingiustamente condannato per corruzione da una magistratura politicizzata e prevenuta. Ed oltre a solidarizzare con Craxi, l'ormai ex presidente della Repubblica ritirò platealmente la fiducia accordata a Di Pietro, il grande accusatore dell'esule, scrivendo la prefazione di un suo libro. Mi accorgo -ahimé- di stare scrivendo di Cossiga al passato. E invece per fortuna egli è ancora sul campo, a fare la sua battaglia: non contro la morte, come dice lui parlando dei suoi malanni fisici, ma contro il conformismo e la vigliaccheria che assediano la politica e spesso intossicano anche le istituzioni.