Rifondiamoci: il Prc alla ricerca del leader perduto

Ma, alla vigilia del settimo congresso di Rifondazione comunista, l'unica certezza è l'incognita sul risultato della consultazione finale. Riuscirà l'ala più consistente della sinistra ex parlamentare, che da oggi si riunisce a Chianciano Terme e dovrà eleggere il Comitato politico nazionale, a trovare una linea comune? O almeno a coagularsi in un gruppo che sfondi la soglia del 50 per cento necessaria a eleggere il parlamentino del Prc e, subito dopo, il segretario? L'esito non è scontato. Le posizioni sono distanti, le cinque mozioni pre-congressuali ancora non hanno trovato una sintesi e nessuna ha raccolto più del 48% dei consensi. I candidati alla successione di Franco Giordano sono virtualmente due, Nichi Vendola e Paolo Ferrero. Ma ad avanzare ufficialmente la sua candidatura è stato solo il governatore della Puglia, mentre l'ex ministro alla Solidarietà sociale attende l'esito dei lavori senesi. Insomma, come suggerisce qualche rifondarolo critico, l'incontro di Chianciano ricorda, molto in piccolo, un congresso democristiano. Il sub-ex comandante Fausto, conscio delle proprie responsabilità e anche un po' amareggiato per essere considerato l'unico capro espiatorio della disfatta di aprile, si sta dedicando all'impegno intellettuale e all'analisi delle ragioni della sconfitta. Intanto, il partito è preda delle correnti, si è diviso in cinque e si è spaccato sulla strategia futura, non soltanto in vista del ritorno alle urne per le europee del 2009. Oltre che sui tesseramenti, le polemiche interne sono esplose sulle consultazioni nei 2.080 circoli sparsi per l'Italia che dovevano votare i documenti. E sulla discrepanza di dati dovrà ora decidere la «Commissione per il congresso», che esaminerà i ricorsi delle parti. Il pomo politico della discordia, comunque, è rappresentato soprattutto dalla questione delle alleanze, con il Pd e con la Sd. I «vendoliani» non escludono un accordo tattico con il Partito democratico per combattere insieme il nemico di sempre, la destra berlusconiana. I «ferrariani», invece, puntano sull'identità e sottolineano che, proprio per sconfiggere il Cavaliere, è necessario caratterizzarsi nettamente in base alla volontà dell'elettorato e non bisogna ripetere gli errori del recente passato». «Deciderò se candidarmi alla segreteria dopo che il congresso avrà adottato la linea politica da seguire, noi non siamo il Pd e non facciamo le primarie», annuncia caustico Paolo Ferrero. «Il punto da cui partire è che nessuno ha più del 50 per cento e, dopo che il Pdci e praticamente anche i Verdi si sono chiamati fuori, a fare la costituente saremmo solo noi e la Sinistra Democratica di Mussi - continua l'ex ministro di Prodi - Per quanto riguarda i rapporti con Veltroni e il suo partito, dobbiamo uscire dalla sconfitta elettorale a sinistra, non a destra. Ci hanno mazzolato proprio per non essere stati sufficientemente rappresentativi del popolo della sinistra. Ammesso l'errore, non dobbiamo ripeterlo. E, quindi, la soluzione non è un'alleanza con il Pd ma, al contrario, la creazione di una sinistra autonoma dal Pd che sia il cuore dell'opposizione a Berlusconi e alla Confindustria». Per Ferrero, poi, i «vendoliani» hanno un'idea di costituente con la Sd che «ci pone su un terreno indistinto» mentre lui privilegia «il riferimento al comunismo come necessità di trasformazione radicale della società». E il suo slogan è: «Ripartire da Rifondazione, in basso e a sinistra». I sostenitori di Nichi Vendola rispediscono al mittente le critiche e capovolgono l'ottica della strategia da adottare. «È curiosa l'insistenza di Ferrero sull'accordo con il Pd - osserva Alfonso Gianni - Quello di Veltroni non è più un partito di sinistra, ma di centro. Quindi si apre un grande spazio per la sinistra e la nostra proposta di costituente nasce proprio dalla critica radicale ai Democratici. Vendola ha come obiettivo la ricostruzione della sinistra in Italia e da qui nasce la necessità di non limitarsi all'identità comunista, troppo ristretta per diventare punto di riferimento di tutto il popolo della sinistra rimasto orfano», prosegue Gianni, che sintetizza pure lui il suo pensiero in uno slogan: «Da Rifondazione comunista alla rifondazione della sinistra». E il rapporto con i veltronians? «È una questione di tattica politica - replica l'ex sottosegretario allo Sviluppo economico di Bersani - Per noi è evidente che il nemico è la destra berlusconiana e il Pd può rappresentare un alleato in questo senso. Però, è altrettanto evidente che la nostra coalizione deve essere autonoma dal Pd intrinsecamente e possiamo crescere nella misura in cui il Pd perde credibilità. Ad aprile abbiamo perso soprattutto a favore del Pd. In conclusione, no a un'alleanza nazionale con il Pd e tantomeno no alla confluenza nei Democratici». Secondo Gianni, l'esito dei lavori congressuali chiancianesi, che si apriranno oggi per finire domenica, è triplice: «O moglie e marito non si mettono d'accordo e quindi bisognerà continuare a discutere - spiega con una metafora coniugale - O la nostra mozione ottiene la maggioranza e vince, oppure i sostenitori delle altre quattro mozioni trovano un'intesa e ci mettono sotto». Tra chi è ben informato sugli umori del Prc, però, si suggerisce una quarta ipotesi di soluzione della crisi: «Vendola potrebbe non raggiungere la maggioranza assoluta ma passare grazie a un accordo con Ferrero e Grassi, ottenendo l'astensione sulla sua candidatura al posto del voto contrario». Una specie di «non sfiducia», per capirci. Alchimie e manovre che a molti militanti sembrano fumose e interessate, oltre a rendere più amara la sconfitta delle politiche e più angoscianti le prospettive per il futuro della sinistra alternativa. A pensarla così sono i sostenitori della quinta mozione, promossa da Walter De Cesaris e sottoscritta anche dal fratello di Massimo Cacciari, Paolo. «Secondo me il punto dolente è lo scioglimento del Prc per creare, con una costituente, un soggetto più ampio. Significherebbe lo scolorimento dei contenuti antagonistici di Rifondazione - osserva Roberto Morea, ex assessore alle Politiche sociali del primo municipio romano - La nostra scommessa con Prodi era portare al governo l'antagonismo sociale. Senza un rapporto stretto con i movimenti e le lotte sociali il Prc non esisterebbe. E nel nostro progetto Palazzo Chigi era una fase di passaggio, non il fine. La sconfitta ci ha messo davanti anche alla crisi del rapporto con l'ex Unione e, quindi, con l'attuale Pd e adesso, per molti di noi, il partito di Veltroni è antagonista quasi al pari di Berlusconi». Per citare Celentano, la situazione non è buona. «In parte è in crisi la forma stessa del partito, anche il nostro è fatto di cartelli e basta una virgola per definirti, per distinguerti dagli altri - spiega Morea - La nostra mozione è quella dei più delusi e nasce dal fatto che nel partito ci sono poteri che si contrastano ma non danno l'idea di un'inversione di rotta, non portano proposte valide per voltare pagina». Ma a Chianciano si troverà la quadra? «Se, com'è possibile, non vincerà nessuno, credo che si andrà a una segreteria collegiale fino all'ottavo congresso dopo le europee». Già, le europee. A proposito di alleanze elettorali, corre voce che il prossimo anno Vendola voglia presentare una lista comune con la Sinistra democratica. Un'eventualità vista dai «ferrariani» come un drammatico remake dell'esperienza Arcobaleno. E da un nuovo fallimento riemergere sarebbe davvero difficile.