Napolitano firma il lodo Alfano. Fini non lo userà
Ma non finisce qui. Sulla giustizia il progetto della maggioranza è diventato più ambizioso: da settembre parte una riforma «complessiva» destinata a cambiare faccia al sistema giudiziario nazionale. Lo aveva annunciato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nei giorni scorsi e lo ha ribadito anche ieri in un incontro con i senatori del Pdl: non è giusto — ha spiegato — che i giudici giudichino se stessi, e dopo il primo grado di giudizio i pubblici ministeri non dovranno più poter rimandare nuovamente a giudizio. Per questo, ha proseguito, è necessario fare una profonda riforma della giustizia. Il premier era molto soddisfatto della firma del capo dello Stato ieri al lodo Alfano: ora finalmente — ha commentato — i magistrati non potranno più «perseguitarlo». «Il sabato potrò passarlo a occuparmi di politica invece che con i miei avvocati». Poi ha mostrato ai senatori del Pdl una bozza di manifesto sulle cose fatte e quelle ancora da fare. Il manifesto, che sarà distribuito nei gazebo, servirà a mostrare l'attività del governo e a rendere sempre più stretto il rapporto con i cittadini. E fra le cose da fare c'è anche il bonus bebè. Si farà perché è una promessa, ha assicurato il premier, raccontando che molto spesso, di fronte a gente che per strada chiede conto dei mille euro per la nascita di ciascun bebè italiano, per non sentirsi in colpa lui tira fuori di tasca propria il denaro. Ma si può fare sempre, ha concluso il premier. Intanto nel pomeriggio, in un vertice con Umberto Bossi e Roberto Calderoli, il Cavaliere ha fatto un calendario delle priorità stabilendo che federalismo fiscale, modifica della Costituzione e riforma della Giustizia dovranno essere portate avanti insieme. Dalla ripresa in autunno dei lavori parlamentari. Intanto, sul tema dell'imunità alle cariche parlamentari, è sceso in campo il vicepresidente del Csm Nicola Mancino che invita a «rafforzare il Lodo con una legge costituzionale». Ma è subito polemica. L'osservazione piace poco al Pdl che reagisce stizzito osservando, come fa il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, che «basta una legge ordinaria a regolare la materia». Del resto, spiegano anche al Quirinale nel motivare la firma del Capo dello Stato al ddl, la Consulta, quando intervenne nel 2004 sull'allora «Lodo Schifani», non parlò mai di una legge costituzionale. E il testo approvato «è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza». «Per me - taglia corto Alfano - il Lodo è ormai legge dello Stato. Noi siamo già proiettati sulla riforma». Ed è infatti a questa che guardano politici, avvocati e magistrati. Anche se il presidente dell'Anm Luca Palamara precisa: «Ci interessa la riforma della Giustizia, non la riforma dei giudici». «Non sarà una riforma contro qualcuno o qualcosa - assicura il presidente del Senato Renato Schifani - o a favore di questo o quell'interesse settoriale, ma sarà prima di tutto una riforma a favore del cittadino». Nel frattempo c'è già una carica dello Stato che decide di non avvalersi dello scudo. Si tratta del presidente della Camera Gianfranco Fini, alle prese con una querela per diffamazione presentata dal pm di Potenza Henry John Woodcock per alcuni affermazioni fatte durante la trasmissione televisiva Porta a Porta in merito alla cosiddetta vicenda «vallettopoli». E anche Berlusconi potrebbe seguirlo. Lo lascia intendere il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti che interrogato risponde: «È vero, vediamo. Sono tecnicalità di cui si occupano i suoi avvocati».