Ad Antonio Di Pietro è bastato l'annuncio dell'arresto del ...
Non ha voluto attendere gli sviluppi delle indagini, dalle quali potrebbero ovviamente risultare confermati, ma anche ridimensionati o smentiti, gli elementi di accusa, com'è d'altronde accaduto tante volte nei procedimenti giudiziari avviati proprio da Di Pietro quando era sostituto procuratore della Repubblica. E come è accaduto anche alle indagini condotte a carico dello stesso Di Pietro quando la Procura di Brescia è stata chiamata ad occuparsi di lui con denunce di abusi e corruzione che sembravano a prima vista assai credibili. Ma, si sa, Di Pietro sta al garantismo come il diavolo all'acqua santa. Proviamo comunque per un attimo a dare per buono o scontato l'annuncio dipietrista e per perduta la partita giudiziaria di Del Turco e degli altri imputati di Pescara. Ma in tal caso ci sarebbe da chiedersi se sia corretto parlare di «ritorno di Tangentopoli», visto che gli amministratori regionali d'Abruzzo non sono i primi ad essere incappati nei rigori delle indagini giudiziarie dopo la stagione alla quale allude Di Pietro. Che è quella ormai lontana di «Mani pulite», apertasi il 17 febbraio del 1992 a Milano con l'arresto di Mario Chiesa nel suo ufficio di presidente dell'Istituto ospedaliero Trivulzio, dove aveva appena riscosso una tangente dal gestore delle pulizie. Solo per limitarci ai primi sette mesi di quest'anno, ricordiamo che a Genova finisce agli arresti domiciliari il 6 febbraio il presidente dell'Autorità del Porto Giovanni Novi, del quale il presidente della Regione Claudio Burlando dice, sconsolato: «Ma è un signore». «Sono allibito. Ho e avrò sempre stima di lui», commenta lo storico «console» dei camalli Paride Batini, destinato ad avere guai giudiziari anche lui. «L'inchiesta dei Pubblici Ministeri alza il velo sugli incroci tra armatori e politica», con trucchi di gare per la gestione del molo multipurpose e quant'altro, spiega in un titolo di cronaca «La Repubblica». Che il 24 maggio annuncia la scoperta della «Tangentopoli della Lanterna» con l'arresto nell'aeroporto di Genova dell'avvocato Massimo Casagrande, ex consigliere comunale dei Ds, bloccato con una valigetta contenente 50 mila euro. «Sono dei cattivi guaglioni», commenta il sindaco, sempre ds, Marta Vincenzi. Che poi si arrabbia e, accusando lei stessa alcuni suoi ex collaboratori, fra portavoce, assessori e consiglieri comunali, dice: «Mi hanno pugnalata alla schiena». Il mese dopo tocca a Perugia,dove la magistratura ordina trenta arresti, saliti poi a trentacinque, per appalti truccati dopo avere perquisito gli uffici della Provincia, del Comune e della fondazione della locale Cassa di Risparmio. Tra gli arrestati il presidente dell'associazione locale dei costruttori, mentre l'assessore provinciale alla Viabilità è stato indagato. L'accusa è, fra l'altro, di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d'asta. Se andiamo ancora più indietro nel tempo, variano le località, ma non sempre il colore, rosso, delle amministrazioni finite sotto inchiesta giudiziaria: per esempio,quella regionale della Calabria, guidata da Agazio Loiero. A questo punto viene voglia di chiedere a Di Pietro, e a quanti altri hanno condiviso o ripetuto l'annuncio del «ritorno di Tangentopoli», se ritengano davvero che se ne sia mai usciti. Eppure questo era stato assicurato o promesso dopo la Tangentopoli d'inizio degli anni Novanta. Piercamillo Davigo, il dottor Sottile, di fisico e di mente, dello storico pool milanese di «Mani pulite», dove Di Pietro aveva invece il fisico e il ruolo dell'ariete, si distinse per una frase che poi, in verità, avrebbe cercato di correggere, forse consapevole dei risultati troppo diversi da quelli sperati: «Rivolgeremo l'Italia come un calzino». In verità, il calzino rivoltato è stato a lungo soltanto quello del piede destro, calzato dai partiti allora al governo, non a caso eliminati con la ghigliottina giudiziaria, in verità senza che essi opponessero molte o valide resistenze, anzi prestandosi spesso alla gogna, nella vana e miserabile speranza che la lama si limitasse a tagliare il collo del vicino o del concorrente. Il calzino sinistro fu solo sfiorato. Esso rimase sostanzialmente fermo al suo piede, nella presunzione che la cosiddetta questione morale, sollevata con tanta enfasi dal Pci già negli anni della segreteria di Enrico Berlinguer, riguardasse solo i democristiani e i loro alleati. Fra i quali i socialisti dovevano però essere considerati i peggiori,quasi predisposti alla corruzione dopo la trasformazione «genetica» del partito rimproverata a Bettino Craxi proprio da Berlinguer, dopo che il leader del Psi aveva osato tornare al governo con la Dc, e per giunta guidarlo, senza i comunisti.È difficile credere, sempre dando per scontato il giudizio di condanna anticipato da Di Pietro, che la sinistra abbia stupidamente ceduto alla tentazione della corruzione solo dopo la scomparsa di quelli che furono i suoi avversari. Né si può dire che essa sia caduta nelle trappole del potere solo dopo averlo conquistato, perché essa ha sempre avuto un grande potere locale, anche prima di arrivare o tornare al governo a livello nazionale. È proprio a livello locale che la questione morale l'ha ormai investita smentendo la «diversità» tanto a lungo vantata. E che ha miseramente rifatto capolino tra i post-comunisti all'indomani dell'arresto di Del Turco, quando l'ormai ex presidente della giunta regionale d'Abruzzo ha smesso di essere sulla «Unità» un esponente della direzione del Partito Democratico, o un suo semplice militante, visto che si è dimesso anche da dirigente, ed è tornato ad essere un «ex socialista». Buon sangue non mente, sembra essere il perfido messaggio del giornale del partito di Veltroni.