Alessandro Usai a.usai@iltempo.it Tokyo come Buenos Aires, ...

Tre gli indizi che costituiscono ben più di una prova. In primis la crescita. L'economia è in fase di stagnazione e il prodotto interno lordo dei paesi più industrializzati sembra avere l'elettroencefalogramma piatto. A poco servono le manovre nazionali che premono sulla leva fiscale e insistono sulla detassazione di imprese e famiglie. Il secondo indizio, pesante, è il prezzo del petrolio. Impensabile stimolare la crescita se il carburante principale del motore economico si attesta a circa 150 dollari al barile. Così il terzo indizio, chiamato inflazione, mette in ginocchio la società capitalistica. E New York diventa come Francoforte tanto che la Banca Centrale americana si allinea a quella europea annunciando che i rischi al rialzo per l'inflazione «si sono intensificati». Le parole pronunciate dal presidente della Fed, Ben Bernanke, allontanano un taglio del costo del denaro statunitense. Le conseguenze non si sono fatte attendere: il dollaro ha sbandato, gli investitori sono fuggiti, il «panic selling» ha fatto crollare i mercati finanziari. Il bilancio è inquietante: le Borse europee, già affossate dalla crisi dei mutui americani e dal caro-petrolio, hanno bruciato 147 miliardi di euro. Milano ha chiuso con una flessione di oltre il 2% portando il calo da inizio anno attorno al 30%. Nei fatti siamo alla fine del liberismo, la teoria economica basata sulla libera iniziativa e il libero commercio. Senza dazi e con l'intervento dello Stato nell'economia limitato alla costruzione di adeguate infrastrutture che possano favorire il commercio. Una filosofia che privilegia il mercato, la cui «mano invisibile» riesce a equilibrare il sistema e generare ricchezza sulla base del concetto «democrazia vuol dire libertà economica» coniato da Friedrich von Hayek. Niente di tutto questo sembra avere più valore. Gli interventi statali in economia si susseguono senza freni. In Europa come in Asia. E tutto sembra normale. Così la Bank of England scende in campo per salvare la Northern Rock dai debiti, seguita a ruota dalla Fed e dal Tesoro americano che evitano i fallimenti di due colossi dei prestiti ipotecari, Fannie Mae e Freddie Mac. «Quello che può essere considerato un vizio nel campo privato, ossia il fare i propri interessi, diventa una virtù nel campo pubblico». Anche il dogma liberista di Adam Smith è in crisi. Preso a schiaffi dalla «mano visibile» dello Stato. Qualcuno, se si dovesse esagerare, potrebbe anche chiamarlo comunismo.