Va in scena l'Idv show, tra battute e strafalcioni

La grinta da gladiatore che sta per affrontare l'arena dell'Aula ostile e pronta a mostrare il pollice verso, Francesco Barbato da Camposano (Na) scrolla i suoi riccioli neri e fa impallidire i «che c'azzecca» del suo leader, che ormai, dopo un undicennio di assuefazione politico-mediologica non generano più alcuna ilarità. L'onorevole dell'Idv è protagonista e causa scatenante di una piccola bagarre quando, durante la discussione sul «lodo Alfano», propone di inserire tra le cariche immuni anche Mario Landolfi, ex presidente della Commissione di Vigilanza Rai ed esponente del Pdl. Ma quello che colpisce (letteralmente) del deputato campano sono lo stile e il lessico. Che ci sia un pregiudizio nei confronti di Barbato (niente a che vedere con Tommaso, salito alla ribalta delle cronache come sputatore senatoriale dell'Udeur in occasione della caduta di Prodi) lo dimostrano i mugugni che seguono l'annuncio del suo intervento da parte della vicepresidente Bindi. Ma, sentendo quello che dice e, soprattutto, come lo dice, si scoprirà che il pregiudizio era giustificato. «Cercherò di essere buono al massimo...», esordisce Barbato. «E quindi - continua, tradendo immediatamente la promessa - farò una proposta molto concreta: estendete il lodo anche all'onorevole Landolfi, visto che ho letto sui giornali che è stato eletto con i voti della camorra». La reazione del centrodestra è dura. Nello stenografico della Camera viene definita con l'eufemismo: «Vivi commenti dei deputati del gruppo Popolo della libertà». Eufemismi, appunto. Perché il rappresentante dell'Italia dei valori si becca epiteti pesanti: «mascalzone», «coglione», «extracomunitario». Quest'ultimo, anche se forse concepito in base al linguaggio usato da Barbato, sembra comunque esagerato. Perfino uno straniero a digiuno del nostro idioma, infatti, si esprimerebbe meglio di lui. La Bindi lo interrompe per placare gli animi. Lui insorge: «Non potete togliermi la parola!». Le proteste, tuttavia, continuano mentre Barbato (che poco dopo Landolfi definirà «cane rabbioso») infila uno strafalcione dietro l'altro. Di Pietro cerca di correre in soccorso del suo deputato. La Bindi gli fa notare però che «se lancia accuse così pesanti ai colleghi, non può aspettarsi che non vi sia una reazione». Barbato va avanti. Parla di «inciuci di piazza», di leggi ad personam, ad aziendam e ad vergognam, si rivolge a Veltroni e resuscita il triplice «resistere» di borrelliana memoria. Infine propina all'Aula la sua cultura teatral-popolare: «Ci piacciono persone come te, che dicono e fanno cose serie - afferma rivolto a Veltroni - In questo momento bisogna soltanto resistere - ribadisce - Walter, ha da passa' 'a nuttata! E dopo che sarà passata questa nottata - conclude abbandonando il breve cedimento vernacolare - il tempo, che è galantuomo, ci darà ragione e andremo avanti davvero dalla parte dei cittadini». Molto più corretta era stata Silvana Mura, altra Idv, scivolata solo sull'accento fonetico di «Ventòtene». Quando prende la parola il leader dell'Idv, i banchi del Pdl sono praticamente deserti. Anche a Montecitorio a volte l'audience dipende dalla qualità dello spettacolo.