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Non c'è niente da ridere

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Sabina Guzzanti

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Dai loro un palco, un uditorio, e li ritrovi posseduti. Sperano di sentire sulle spalle la voce benedicente di Aristofane, e finiscono incagliati nel delirio di un Cola di Rienzo. Vorrebbero appellarsi al dio libertario della satira, che non li ascolta più. Così, a quei guitti allucinati non resta che trasformarsi in supponenti tribuni del popolo, di quelli che, come storia insegna, finiscono abbrustoliti per mano di chi prima li acclamava. La tragedia è che non fanno più ridere. Anzi, non sanno più di cosa parlano. Certo non di politica, nè di costume. La migliore la spara, a sostegno, l'ineffabile Travaglio: «Cosa ha detto di così grave la Guzzanti? Possibile non vi siate accorti che quella su Ratzinger all'inferno era una citazione dantesca?». Davvero? Per simili castronerie, i maturandi vengono cacciati a pedate. A piazza Navona, l'altra sera, non c'erano showmen girotondini: semmai dei sanculotti con la maschera da clown. Avrebbero voluto instaurare la stagione del Terrore, dove il confronto delle idee diventa il retaggio di una civiltà scomparsa, e dove l'unica arma è l'Invettiva Universale, per ghigliottinare tutti, sodali e avversari, nella disperata cupezza che prelude alla sconfitta della ragione. Ridateci i comici, i saltimbanchi, i giullari: insegnate loro come non si cannibalizza il rispetto che a ciascuno - a prescindere dal ruolo - è dovuto. Chiudete la Guzzanti e Grillo (e Daniele Luttazzi, per soprammercato) in una comunità di recupero per artisti e proiettate loro senza soluzione di continuità il "Nerone" petroliniano, quello dell'immortale "Bravo!" "Grazie!", dove il tiranno chiosava: «Lo vedi? Il popolo, quando s'abitua a dì che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo...». Obietteranno: Mussolini ne rideva. Ma la forza e la levità di quella satira buca i secoli, colpisce allo stomaco, e fa amaramente sorridere. E Benigni? Inciampò su un "Wojtylaccio", ma poi ha saputo fare l'equilibrista sul filo della poesia. Quando abbiamo perso la Guzzanti della doppia, irresistibile caratterizzazione di Berlusconi e D'Alema? Forse quando le sue vicissutidini televisive l'hanno convinta a collocarsi aldilà del bene e del male, in uno spiazzo inabitato dove è cortocircuitata la sua ispirazione. Lo si era capito assistendo a un suo spettacolo: impersonando Oriana Fallaci, battibeccava da copione sulla malattia della giornalista. Qualcuno le gridava: «Ti venisse un cancro!», e lei ribatteva «Ce lo già, ti venisse a te e anche alla tu' mamma!». La prostrata Oriana la definì «un'oca crudele che deride i miei problemi». Ieri, Sabina non ha mollato di un centimetro davanti a chi ne criticava la melmosa esibizione pubblica: «Che gioia - ha scritto sul suo blog, di cui aveva lamentato un "sospetto" oscuramento - sentire Fini dire la piazza non può essere una scusa per offendere. Caro Fini e compagni, sono anni che ci offendete. Non ci fate nessuna paura e sappiate che noi continueremo a dire quel c.... che ci pare, criticando chi vogliamo e come vogliamo. Questa è la libertà. Non ce lo spieghi nè tu nè nessun altro dei tuoi non eletti colleghi, cosa sia la libertà». La Procura procederà per vilipendio del capo dello Stato e del Papa? «Sarà un onore». La Carfagna l'ha querelata? «Sarà il processo più divertente del secolo. Sapete come si chiama quel suo collega che le ha espresso solidarietà?». Battute che neanche nei bagni dell'autostrada. Grillo, poi. Ora si autodefinisce "gandhiano", e finge di volare basso, prima di sputare su Napolitano. Guai a pensarlo comico: diamine, lui è quello che costringe il capo dell'opposizione a dire a Di Pietro: «O con me o con Beppe!». Ma è anche un anacoreta, un luddista, un Thoreau naturista e immacolato. Se la questura di Roma gli avesse accordato il permesso per la sua inquietante "Gita" collettiva del 25 luglio sotto le sedi dei partiti (che per lui sono le "metastasi della democrazia") forse sarebbe venuto in ciabatte, o scalzo come quando è a bordo del suo maxiyacht, che incrocia al largo di Porto Cervo. Accoglie sul blog le mail di italiani disperati per il caro vita, e risponde così: «Lontano dai palazzi, la gente è sempre più povera, ma da oggi più consapevole che loro sono loro e noi non siamo un cazzo». Poi quando sull'amata internet finisce la sua miliardaria dichiarazione dei redditi strepita: «È una follia suggerita dalla 'ndrangheta e dalla mafia per favorire i rapimenti!». Luttazzi, invece, si è impancato a nuovo Lenny Bruce per via dell'editto bulgaro. Divertiva ai tempi di "Mai dire gol", prima che si mangiasse un piatto di cacca in tv, che evocasse altri atti coprofili da compiere su Giuliano Ferrara nella vasca da bagno, o che meditasse di sfregiare con indecenti sortite un'enciclica papale. Aristofane e Petronio, da lassù, s'incupiscono. E suggeriscono: lasciateli soli.

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