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Ma Baffino non si lasciò «processare» dalla Forleo

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Sia inteso un consiglio, ammesso che sia buono, è sempre ben accetto. Peccato che l'ex ministro degli Esteri, nel darlo, abbia compiuto una piccola omissione. Quando è stato il suo momento, infatti, D'Alema non ha affrontato «a testa alta» le accuse che gli erano state mosse, anzi. Tutto ruota attorno alle ormai famose telefonate tra l'ex vicepremier e il numero uno di Unipol Giovanni Consorte. Telefonate che il gip Clementina Forleo chiese di poter utilizzare. L'ordinanza del magistrato milanese venne trasferita alla giunta per le autorizzazioni della Camera. D'Alema non si oppose pubblicamente all'utilizzazione, ma nella sua memoria difensiva non risparmò attacchi pesanti alla Forleo. «L'ordinanza del Gip - scriveva nel settembre dello scorso anno l'ex vicepremier - non attiene all'utilizzabilità delle fonti di prova nei confronti dei soggetti già indagati, ma si configura come un'improponibile richiesta di "autorizzazione a procedere"». E ancora: «Non è processualmente possibile al Gip prospettare qualsivoglia ipotesi accusatoria in questa fase né tanto mento esprimere apprezzamenti di colpevolezza nei confronti di persone avverso le quali il pubblico ministero nei confronti di persone avverso le quali il pubblico ministero non ha promosso azione penale». Insomma, la Forleo accusava non potendolo fare e ancora di più, secondo D'Alema, accusava con «asserzioni assolutamente stupefacenti e illegittime» che, «oltre che indebite, appaiono essere sospinte da una pregiudizievole animosità estranea alla cultura e alla funzione propria di un giudice». A far andare su tutte le furie l'ex vicepremier era soprattutto una frase, contenuta nell'ordinanza, secondo cui le telefonate erano la prova che i politici intercettati erano «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata». Al contrario, per D'Alema, quelle conversazioni non avevano «alcuna rilevanza penale». Sarà un caso, ma davanti alla memoria difensiva dell'allora ministro degli Esteri, il suo collega di governo Antonio Di Pietro usava parole molto simili a quelle che oggi, in un contesto completamente diverso, usa nei confronti del premier Berlusconi. «Le critiche degli avvocati di D'Alema al gip Clementina Forleo - attaccava l'ex pm - sono strumentali rispetto a chi non vuole accettare il primato del ruolo della magistratura in materia giudiziaria». Come è andata a finire è cosa nota. La Giunta si dichiarò non competente in materia visto che, all'epoca dei fatti, D'Alema era eurodeputato. L'ordinanza venne trasferita a Strasburgo che non si è ancora espresso nel merito. L'esperienza, però, ha reso saggio l'ex ministro degli Esteri, al punto di potersi permette un «consiglio amichevole» a Berlusconi.

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