Napolitano bacchetta il Csm
Ma non è al Consiglio che spetta il vaglio di costituzionalità di un provvedimento. Il presidente della Repubblica scrive al «suo» vice Nicola Mancino, spiega di condividere l'invito alla riservatezza rivolto ai consiglieri e precisa le funzioni e i limiti dell'organo di autogoverno delle toghe alla luce delle indiscrezioni sulla bozza di parere di Palazzo Marescialli sull'emendamento «sospendi-processi» del Pdl al decreto-sicurezza. Un intervento, quello di Napolitano, che ha riscosso il plauso di governo e maggioranza e al quale Mancino ha replicando ringraziando l'inquilino del Quirinale e precisando, a sua volta, che nessuno vuole andare oltre i confini indicati dalla legge ma non si può pensare a un ruolo «meramente gestionale» del Csm. Ma sul richiamo di Napolitano è tensione tra Colle e Berlusconi: «I presidenti di Camera e Senato - ha detto il premier ieri a Napoli - si sono recati da lui per sottolineare qualcosa che non sta nell'alveo costituzionale. Il Presidente della Repubblica ha colto gli argomenti dei presidenti e ha prodotto una dichiarazione che mi sembra completa. Ogni istituzione faccia ciò che la Costituzione gli assegna, nessuno organo può prevaricare gli altri». Secca la risposta del Colle: l'iniziativa è stata «autonoma» e non basata su alcuna richiesta. Infine, sempre ieri, il Csm Con 21 voti a favore, due contrari e un astenuto, ha bocciato l'emendamento della discordia, giudicato «irrazionale» in molte sue parti. In particolare «riguardo lo spartiacque temporale tra processi che devono essere sospesi e processi che devono proseguire, coincidente con la commissione del reato entro il 30 giugno 2002; uno spartiacque che è svincolato da ogni parametro di riferimento rinvenibile nel sistema normativo ed è conseguentemente casuale e arbitrario». Il Csm rileva che anche nella scelta dei reati per cui va disposta la sospensione dei processi, la scelta «appare ugualmente non ragionevole essendo tra tali reati compresi i numerosi delitti che determinano particolare allarme sociale». E torniamo a Napolitano. Il presidente esprime a Mancino la sua «piena comprensione per il disagio» da lui manifestato «dinanzi alla violazione» della «regola di riservatezza» e spiega che «il severo richiamo» di Mancino «al rispetto di tale regola è da me fortemente condiviso». Il presidente, però, precisa che non è «uno scandalo il fatto che il Csm formuli un parere, diretto al Ministro della Giustizia, su un progetto di legge di assai notevole incidenza su materie di diretto interesse del Csm stesso», poiché è «una facoltà attribuitagli espressamente dalla legge n. 194 del 1958». Infatti, «i pareri sono destinati a rilevare e segnalare le ricadute che le normative proposte all'esame del Parlamento si presume possano concretamente avere sullo svolgimento della funzione giurisdizionale». E «l'espressione di un parere del Csm non interferisce con le funzioni proprie ed esclusive del Parlamento». Ma al Consiglio non spetta «in alcun modo quel vaglio di costituzionalità cui, com'è noto, nel nostro ordinamento sono legittimate altre istituzioni». Per concludere, «la distinzione dei ruoli e il rispetto reciproco, il senso del limite e un costante sforzo di leale cooperazione, sono condizioni essenziali ai fini della tutela e della valorizzazione di ciascuna istituzione, delle sue prerogative e facoltà». Fin qui la lettera del capo dello Stato. Alla quale ha replicato, durante la seduta del Consiglio, Mancino: «Abbiamo ben presenti i confini e la portata delle nostre competenze. Non siamo e non vogliamo essere una terza Camera, ma rivendichiamo il diritto di essere ciò che siamo e ciò che il legislatore ci impone di essere» e «avanzare proposte e dare pareri è una formula che ci impegna ad agire sia se richiesti sia se non richiesti».