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Walter e la «sindrome Prodi»: adesso è sempre colpa sua

Veltroni e Prodi

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La strategia era semplice: addossarre a Romano Prodi la colpa di tutto e presentarsi agli elettori come un'assoluta novità. In realtà il leader del Pd non faceva altro che iscriversi alla lunga lista di coloro che, nei due anni precedenti, non avevano fatto altro che sparare sul Professore. Dalla piazza ai partiti dell'Unione passando per i quotidiani e gli intellettuali «amici». Tutti lì a puntare il dito contro gli errori di Prodi. Oggi, però, il Professore non c'è più. Chiusi i conti con la politica nazionale, se ne sta beato a Bologna a fare il nonno. E il bersaglio è diventato Veltroni. Da qualche giorno, infatti, lo sport preferito all'interno dell'opposizione (e non solo) è, come ha detto Arturo Parisi, prendere a schiaffi il segretario del Pd. Che si parli dei disastrosi risultati elettorali dei Democratici o del dissesto finanziario del comune di Roma il leit motive è sempre lo stesso: è colpa di Walter. Poco importa che anche Francesco Rutelli abbia trascorso sette anni al Campidoglio. Poco importa che un'intera classe dirigente abbia sostenuto Veltroni nelle sue scelte. Il colpevole è uno solo: lui. Per Antonio Di Pietro è quasi una questione personale tanto che due giorni fa ha minacciato di rompere l'alleanza se dal Pd non fosse arrivato un chiarimento immediato sul tema della giustizia. «Ci dicano se vogliono fare la ruota di scorta a Berlusconi» aveva attaccato l'ex pm. E ieri ci ha pensato il prodiano Giulio Santagata a rincarare la dose. «Non piace né l'opposizione di Veltroni, né quella di Di Pietro - ha detto partecipando a Sky Tg24 pomeriggio -. Non dico che Veltroni abbia sbagliato, ma dico che le condizioni non ci sono più e il Pd farebbe bene a trovare un equilibrio che non è quello sperato e non può neanche essere quello di chi non vede che la situazione non sta in piedi». Mentre Marianna Madia, la novità tanto voluta dal segretario, dalle pagine del Corriere della Sera lanciava la sua mesta sentenza: «Non ci sono leader eterni». Anche la sinistra radicale, orfana di rappresentanza parlamentare, ha trovato nel segretario del Pd la sua valvola di sfogo. Anche Fabio Mussi, dopo un periodo di silenzio, non ha rinunciato alla tentazione: «Berlusconi ha detto che il dialogo cnon gli interessa, che vuole fare come gli pare e che Veltroni, se vuole, può unirsi alla maggioranza. Questo tradotto nel linguaggio alla Beppe Grillo, equivale a un "vaffanculo". E la risposta di Veltroni qual'è stata? Ha risposto che così il dialogo diventa difficile. Bella potenza...È come una battaglia tra una bistecca al sangue cucinata alla brace e un budino tiepido cucinato a bagnomaria». Davanti a tanto accanimento la domanda sorge spontanea: ma che fine hanno fatto quelli che, esattamente un anno fa, salutavano la discesa in campo di Veltroni come la soluzione di tutti i problemi? Sono scomparsi lasciando il segretario da solo a cercare una via d'uscita. Via d'uscita che, per ora, si traduce in uno schiaffetto al Cavaliere (il leader del Pd ha confermato la discesa in piazza in autunno) e in una conferma totale della propria linea: «L'opposizione democratica ha sempre due critiche. Da chi dice che è troppo dura, come ha fatto il presidente del Consiglio, e chi dice che è troppo morbida, ma noi teniamo ferma la barra». Un anno fa, spiegando i motivi che avevano spinto i vertici di Ds e Margherita a chiedere all'allora sindaco di Roma di scendere in campo, Piero Fassino diceva: «Con Veltroni abbiamo scelto il più fresco di tutti noi. Diciamoci la verità: venendo dal Campidoglio Walter non si porta dietro le ferite delle nostre battaglie di questi anni». Adesso, anche Walter, ha le sue ferite.

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