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Veltroni e i suoi ingranano la retromarcia

Veltroni

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Orbene, per non essere da meno il giorno successivo il nostro Zelig ha fatto altrettanto. Non potendo dar vita a un governo sole, perché sonoramente sconfitto a quelle elezioni politiche del 13 e 14 aprile in vista delle quali annunciava urbi et orbi di essere a una incollatura dal Cavaliere, si è accontentato di nominare un governo ombra. Scimmiottando, stavolta, lo Shadow Cabinet britannico. Nulla da ridire, intendiamoci. Se il governo ombra allestito alla bell'e meglio da Achille Occhetto il 19 luglio 1989 fallì miseramente, addirittura prima di quel VI gabinetto Andreotti che si riproponeva di controllare, fu perché costretto ad agire in un contesto politico sfavorevole a un progetto del genere. Per di più il sullodato Occhetto, un uomo perseguitato dalla sfortuna, ebbe la bella idea di far convivere nel medesimo ministero comunisti ruspanti e schizzinosi indipendenti di sinistra che finirono per beccarsi come i polli di Renzo. Oggi, invece, tutto è cambiato. Di riforme costituzionali ed elettorali, sia chiaro, neppure l'ombra. In compenso, Veltroni e Berlusconi hanno avuto il merito di anticipare con le loro mosse a sorpresa il referendum elettorale in programma nella prossima primavera. Così il premio di maggioranza è stato assegnato non già alla coalizione vincente bensì al partito più votato tra il veltroniano Partito democratico e il berlusconiano Popolo della libertà. Il risultato è stato un quasi bipartitismo che assomiglia a quello inglese come la scimmia all'uomo. Ma sempre meglio che niente, si capisce. Ossessionato più che mai da Berlusconi, Veltroni non si è accontentato di varare un governo ombra. No, l'ha costituito in guisa tale da non temere il confronto con quello felicemente in carica. Non aveva forse detto e ridetto il Cavaliere, strizzando l'occhio a una opinione pubblica insofferente delle solite facce, che occorreva dare maggiore fiducia alle donne e ai giovani? Ecco che Veltroni, felice come una Pasqua, snocciola nomi e numeri al fine di vantare una presunta superiorità. Dei ventuno ministri neo nominati ben nove sono le donne, contro le quattro del governo Berlusconi. E tra queste c'è quella Pina Picierno ancor più giovane, tiene a precisare il presidente del Consiglio del governo ombra, del pur giovanissimo ministro Giorgia Meloni. Quasi che si trattasse di una sfida tra i ragazzi della via Pal. Come se tutto questo non bastasse, si è poi aggiunto un ministro, Cesare Damiano, e due consulenti, Salvatore Vassallo e Stefano Fassina. Prosit. Oddio, non tutte le ciambelle riescono con il buco. Pensate, nel governo ombra c'è un ministro, Michele Ventura, preposto all'attuazione del programma. Quale, di grazia? Ma questo è niente. Il bello è che nella terra di Pirandello può addirittura accadere una inversione delle parti che ha dello stupefacente. Mentre Berlusconi non ha avuto nulla da eccepire alla nascita di un governo ombra, consapevole com'è che in un sistema in sostanza bipartitico l'opposizione, più che chiedere la luna, è interessata a controllare a dovere il gabinetto in carica e a gettare le fondamenta dell'alternativa, Veltroni e i suoi cari adesso ingranano la retromarcia. Così Gianclaudio Bressa spiega che il governo ombra avrà un senso dopo la riforma costituzionale che trasformerà il Senato in Camera delle regioni. Come dire, il Paradiso può attendere. E il vicecapogruppo del Pd a Montecitorio, Marina Sereni, dichiara che va realizzato ma con cautela (sic). Perché «le opposizioni in Parlamento sono più d'una e in questo momento il Pd appare assai più interessato a rafforzare il dialogo proprio con loro». Evviva la faccia della sincerità. Ma c'è un fatto nuovo che spiega la battuta d'arresto. Come Donadoni, Veltroni rischia di fare le valigie e togliere il disturbo dopo che nel suo partito è scoppiata la guerra di tutti contro tutti. E allora non trova di meglio che aggrapparsi come un naufrago al brocardo latino che suona così: primum vivere deinde philosophari. E la filosofia oggi è rappresentata per l'appunto dal governo ombra. Mentre, per sopravvivere, Veltroni mostra l'altra guancia nell'illusione che gli schiaffi siano destinati non già a lui ma a Romano Prodi. Il Celestino V del Pd. Contento lui…

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