Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Era dal 16 febbraio che Walter Veltroni non si presentava ...

default_image

  • a
  • a
  • a

E non è solo una questione di clima (un caldo torrido accoglie i delegati costretti a camminare sotto il sole per raggiungere i padiglioni 7 e 8), è il Pd ad aver cambiato pelle. A febbrario, sul palco accanto al segretario, c'era il presidente del partito Romano Prodi. Oggi il Professore ha lasciato l'incarico e ha preferito restare a casa anche se, con un lungo applauso, l'Assemblea sancisce che nessuno prenderà il suo posto. A febbraio Veltroni era «l'uomo nuovo» e aveva il partito in mano. Oggi, quasi fosse uno qualunque, siede assieme a coordinatori, ministri-ombra, capigruppo, dirigenti di vario tipo ad un tavolo più lungo del palco. Certo, fanno notare in sala, sono gli organismi dirigenti di un partito che si sta lentamente strutturando e, soprattutto, sono tutte persone che ha voluto il segretario. Le spine nel fianco, spiegano, siedono tutte in prima fila e si chiamano Massimo D'Alema, Francesco Rutelli, Rosy Bindi, Arturo Parisi. Anche questo è un segno dei tempi. Se quattro mesi fa Veltroni non doveva fare i conti con nessuno oggi è costretto a estenuanti mediazioni con tutte le anime del Pd. Insomma, la leadership di Walter ha subito un brutto colpo, e forse non è un caso che solo 700-800 delegati sugli oltre 2.800 eletti alle primarie del 14 ottobre abbiano deciso di affrontare il viaggio verso Roma. Ma il segretario è uomo ostinato così prova a riaccendere il fuoco della passione. Basta con il buonismo di facciata. Giacca grigia, camicia sbottonata, il segretario si trasforma nel suo gemello cattivo. Attacca Silvio Berlusconi per le ultime iniziative legislative che hanno nei fatti strappato «la delicatissima tela del dialogo». Punta il dito contro il conflitto di interessi del Cavaliere «incapace di separare l'interesse personale da quello del Paese». Parla di opposizione «intransigente, incalzante e propositiva». Ma, soprattutto, invoca la piazza. «Noi ci siamo onorevole Berlusconi - attacca -. Oggi siamo noi a dirlo, in autunno sarà una larga parte degli italiani. Quella che noi chiameremo a raccolta, per un'azione di protesta e di proposta in tutto il Paese, che culminerà con una grande manifestazione nazionale». Anche se subito aggiunge che la stagione dell'antiberlusconismo è finita e che il Pd non si lascerà riportare nel passato. In ogni caso, al premier che lo tira in ballo per il buco dei conti del Comune e lo invita a dimettersi, replica: «Non posso accettare che si diano giudizi con la violenza che è tipica dell'uomo e a proposito di buchi, tra il 2001 e il 2006 ha lasciato all'Italia un aumento di 30 miliardi di deficit». Chiuso il capito Cavaliere, Veltroni può concentrarsi sul Pd. Il segretario ammette la sconfitta e sfida chi vorrebbe metterlo in discussione. Ribadisce che le scelte fatte sono giuste e che indietro non si torna, apre sulle alleanze a patto che siano costruite sui programmi e, non, come accadeva in passato, sulla convenienza elettorale. Uno dopo l'altro sfilano sul palco Pier Luigi Bersani, Enrico Letta, Rosy Bindi, Franco Marini. Tutti, nonostante qualche puntualizzazione, si stringono attorno a Veltroni. Rutelli e D'Alema si limitano a qualche commento a margine. Per ora, evidentemente, sono d'accordo col segretario. Per ora. Nic. Imb.

Dai blog