Veltroni è tornato al radicalismo di sinistra

La rottura unilaterale dell'avvio del dialogo con il governo è il segno di una debolezza politica che rende assolutamente non credibile il progetto per il quale tanto si è speso dando vita al Pd. Nel loft si respira aria pesante, e si capisce soprattutto dopo la catastrofe siciliana. Ma può giustificarsi la radicalizzazione dell'opposizione soltanto perché Berlusconi ha riproposto, non in solitaria, l'antico tema delle garanzie delle più alte cariche dello Stato di fronte alla magistratura? O, forse, il segretario del Pd, teme la concorrenza di Di Pietro e magari il «ritorno» di una sinistra ridotta dall'elettorato alla condizione extraparlamentare? Al contrario, dovrebbe spingere sull'acceleratore per trovare piani di confronto con la maggioranza che prescindano dalle querimonie politico-parlamentari sui quali situare un grande disegno riformatore che attiene alla rivisitazione delle istituzioni. Credevamo che il Pd fosse nato per questo. Francamente si palesa come una sconfitta di se stesso ciò che Veltroni sta architettando in maniera confusa ed approssimativa al fine di giustificare una linea politica che ormai non c'è più. È incredibile, infatti, che si proponga come riferimento di un centrosinistra «plurale» ed avanzato e nello stesso tempo cerchi di coprirsi a sinistra sulla legge elettorale per europee, sulla sicurezza, sulla giustizia intessendo un fitto rapporto con Rifondazione comunista che lui, più che il centrodestra, aveva sconfitto soltanto due mesi fa. Certo, reggere la concorrenza interna di D'Alema non è facile, ma non glielo ha ordinato il medico di recitare più parti in commedia senza mai riuscire a strappare l'applauso. Adesso il Pd è nel mezzo di un guado e potrebbe rimanerci a lungo. Qual è la sua politica, che cosa è disposta a rischiare la sua classe dirigente per risalire la china, a quale idea di partito si ispira posto che è diventato irrilevante in regioni come la Sicilia dove un tempo, non tanto lontano, Ds e Margherita prendevano centottantamila voti in più di quelli raccolti alle amministrative? Interrogativi che agitano il loft. Comprensibilmente. Ma che pure dovrebbero indurre chi ha ancora un po' di ragione politica da spendere a far capire che il cammino del riformismo non è quasi mai privo di asperità e che queste non si superano con facili arroccamenti attorno ad patriottismo di partito soprattutto quando il partito è un simulacro sbiadito sul territorio, tra la gente. Berlusconi lo si può incalzare in tanti modi, ma il dovere di un'opposizione responsabile non è quello di attaccarsi alle sue vicende giudiziarie e sperare che i giudici lo azzoppino. C'è un altro modo, tutto politico: fargli espletare il mandato ottenuto e varare insieme norme, peraltro vigenti in gran parte dell'Occidente, che alla fine gli garantiscano un giusto processo. È proprio quanto il Cavaliere chiede e con lui giuristi non certo votati alla sua stessa causa. Il riformismo passa anche attraverso la via stretta dell'impopolarità. Ma Veltroni, forse, se n'è dimenticato.