D'Alema e Veltroni, la storia di una rivalità vista "da dentro"

Un'amicizia particolare, fra un inferiore e un superiore. Il superiore era, indovinate?, Massimo D'Alema. Quando nell'aprile del '92 Renzo Foa si dimise dalla carica di direttore dell'Unità, la redazione reclamò un nuovo direttore giornalista. L'epoca dei direttori politici sembrava finita. Il partito di Occhetto, di cui D'Alema era l'azionista di maggioranza, decise per Veltroni. La redazione si ribellò e candidò informalmente Sansonetti. Io e Sansonetti fummo ricevuti da Occhetto che ci blandì, ci dette ragione, ci chiese di star calmi. L'incontro con Massimo fu ancora più... indovinate? brusco. Ci disse pressappoco così: «Sarebbe giusto che fosse uno di voi, ma abbiamo deciso che sarà Walter. Dopo di lui tornerà un giornalista. Adesso non solo vi prendete Walter, ma vi chiedo di aiutarlo perché è il giovane più di talento che abbiamo. Ve lo affido». Ce lo prendemmo, poi Sansonetti se ne andò in America perché non gli riusciva di essere padre o fratello di Walter. Due anni dopo il tutor D'Alema, dimessosi Occhetto a seguito del trionfo berlusconiano, aspirava a diventare segretario del Pds. Più che un'aspirazione era il compimento di un destino. Il partito post-comunista era nato per una follia geniale di Akel, ma senza il doloroso «sì» di Massimo D'Alema non sarebbe mai nato. Mentre fra i giovani comunisti che si avviavano a diventare «post» trionfava l'entusiasmo per il cambio (Mussi, Fassino, Petruccioli, lo stesso Walter), D'Alema diceva l'amara verità. Siamo costretti a cambiare — era il ragionamento con cui impedì alla maggiore mozione di opposizione di andare con Cossutta — perché storicamente abbiamo perso. Per salvare l'esercito dobbiamo fare questa svolta. Gli credettero e divenne il Capo. Ma le dimissioni di Occhetto non portarono automaticamente a Massimo. Scalfari e La Repubblica non erano d'accordo, partì il popolo dei fax , progenitore di quello delle primarie, e Veltroni vinse su D'Alema. Era un Veltroni non convinto di dover fare quella battaglia ma lusingatissimo. Il 1 luglio, nello scontro fra la fanteria diretta da Fassino (pro-Veltroni) e quella guidata da Velardi (pro- Massimo) vinse Velardi e D'Alema fu eletto segretario dal Consiglio nazionale. La rottura fra i duellanti non avvenne là. Credo di sapere che ci fu, non percepita all'esterno, un anno dopo. Vittorio Feltri avviò la campagna stampa contro Affittopoli. Nell'elenco degli inquilini degli enti figurava Massimo D'Alema, che abitava vicino Porta Portese in un appartamento non lussuoso. Walter abitava da sempre in una zona più centrale, in un appartamento più bello. La campagna stampa ferì D'Alema, che dignitosamente lasciò l'appartamento e si mise in proprio, ma lasciò indenne Walter. Le strade si divisero. L'Antipatico e il Simpatico capirono di avere destini diversi e un rapporto con i media opposto. Il duello si nutrì di differenti opzioni politiche. Massimo era il partitista, Walter l'uomo attento alla pubblica opinione. Uno civettava con registi e attori, l'altro coltivava seriosi intellettuali. Walter rivendicò di aver inventato il «nuovo centro sinistra» in un articolo che venne pubblicato sull'Unità. D'Alema lo fece. Entrambi pensarono a Prodi ma Walter ne divenne amico. Quando l'Ulivo vinse, Walter e Prodi dimenticando il lavoraccio di D'Alema (aveva scassato il centrodestra sottraendogli Umberto Bossi e Rocco Buttiglione), pensarono di abbandonarlo. Nel convegno di Gargonza del '97 gli intellettuali ulivisti vogliono bastonare D'Alema ma lui li massacra. Poi Bertinotti uccide il primo Prodi, ma la voce popolare indica in D'Alema il mandante. Non era vero ma quello scontro segnò il futuro. Anche nel rapporto fra Veltroni e Prodi. Il professore non perdonò a Walter di averlo lasciato solo nel suo buon ritiro e di essersi accaparrato la segreteria dei Ds lasciata libera per lui da D'Alema premier. Ma lo schema D'Alema partitista e Veltroni movimentista, uno riformista e l'altro radical all'americana regge poco. Fra i due il conflitto e la rivalità si manifestano anche nel rubarsi la «linea». In questo D'Alema è più bravo, da tiepido ulivista ne diventa alfiere, quando viene lanciata l'idea del Pd contro di lui, sostenitore dell'opzione socialista, sposa il nuovo progetto. Walter, intanto, chiuso nel suo Ufficio al Campidoglio aspetta che il potere logori chi ce l'ha. Così accade. Si va al Pd, Fassino e D'Alema hanno il fiato grosso, Veltroni scende in campo. L'eterno duello sembra avere un vincitore. Ma neppure questa volta c'è la parola «fine». Veltroni mette fuori dal Parlamento tutta la sinistra radical, fa la pace con Berlusconi ma perde le elezioni. D'Alema come una formichina fa il suo correntone. Ragazzi, si ricomincia.