«Io, soltanto testimone, inguaiato dalle registrazioni»
Forse è questo il punto debole della questione, cioè l'uso-abuso di colloqui telefonici o di controlli ambientali spesso indispensabili alle indagini ma che coinvolgono anche persone lambite marginalmente dall'inchiesta e mai iscritte sul «modello 21». Insomma testimoni, non indagati. «Persone informate dei fatti», come le definisce il codice, non imputati. Gente che collabora con la giustizia, non criminali. I loro nomi e i loro volti vengono sbattuti in prima pagina come «mostri», le loro esistenze rivoltate come calzini, le loro famiglie travolte dallo «scandalo» con contraccolpi drammatici. E il bello (anzi, il brutto) è che tutto ciò è, invece, frutto di un reato: la violazione del segreto d'indagine. Uno dei tanti casi emblematici di questa situazione che il governo sta cercando di sanare è un ex dirigente di RayWay. Si chiama Lorenzo Di Dieco, ha 37 anni e, nell'estate del 2006, finisce come teste negli ingranaggi dell'inchiesta diretta dal pm potentino John Woodcock sullo scambio di sesso contro favori. Nel mirino della procura, che indaga anche Vittorio Emanuele di Savoia, entrano il portavoce dell'allora ministro degli esteri Gianfranco Fini, Salvo Sottile, accusato di concussione sessuale e oggetto di un ordine cautelare assieme a Giuseppe Sangiovanni, vicedirettore delle risorse tv della Rai. Sotto i riflettori anche Elisabetta Gregoraci, attuale consorte di Flavio Briatore, una delle presunte «vittime» di Sottile. Lorenzo, laureato in Giurisprudenza, fa il suo ingresso in Rai nel '98 come impiegato. È assistente del consigliere Gamaleri, nel 2001 passa alle relazioni esterne della Eri, la casa editrice di viale Mazzini, nel 2004 lavora con Gianluca Veronesi per le celebrazioni dei 50 anni della tv pubblica. Poi, con Piero Gaffuri, ex capo del personale, segue i rapporti istituzionali e con la stampa per RayWay, la Spa che si occupa delle infrastrutture Rai. Sempre nel 2004 viene nominato segretario del CdA della Newco Rai International e, nella primavera del 2006, responsabile delle relazioni esterne per il Consiglio d'amministrazione di RayWay. Insomma, anche se ogni anno porta a casa solo 35 mila euro lordi, svolge funzioni dirigenziali. Sino a quell'estate di due anni fa, quando esplode la cosiddetta «Vallettopoli 1». Woodcock lo ascolta come testimone. Lorenzo conosce Sottile dal '99, ha rapporti con lui e altri esponenti di partito che si occupano della Rai. In 24 mesi va a trovarlo sei volte alla Farnesina, due delle quali in compagnia del presidente e dell'Ad di RayWay. Ma al pm interessa soprattutto l'intercettazione di alcune telefonate fra Di Dieco e il portavoce di Fini che risalgono al 2005. Parlano di ragazze. Di una, in particolare. Il suo nome è Stella Sablone, ha 24 anni, e conosce Lorenzo. Stella gli chiede di aiutarla a entrare al Centro sperimentale di cinematografia. Lui pensa di chiedere una mano a Sottile. E lo fa. Il colloquio è sboccato. Sottile parla di «trombate», usa un linguaggio volgare. Lorenzo risponde a tono. Poi accompagna Stella al Ministero, dove la ragazza resta pochi minuti e consegna il suo curriculum. Non succede niente. La giovane donna riferirà al pm di essere stata messa in imbarazzo dalle osservazioni di Sottile sulla sua statura e sul suo peso-forma. Tutto qui. Lorenzo non è indagato. È un teste che sta collaborando con la procura di Potenza. Woodcock ritiene che abbia procacciato ragazze al portavoce del vicepremier, ma questo (vero o falso, non ci interessa) non costituisce reato. E inoltre l'inchiesta, trasferita a Roma, si concluderà con l'archiviazione. Solo per Sottile c'è stata la richiesta di rinvio a giudizio per peculato (usò l'auto del Ministero per far andare a prendere la Gregoraci). Il problema è che le conversazioni telefoniche con Sottile (intercettate) e il colloquio con il pm potentino escono puntualmente sui giornali con titoli cubitali. Per le persone coinvolte, guai penali a parte, è un terremoto. A Lorenzo Di Dieco, definito «traghettatore di mignotte», voltano quasi tutti le spalle. Alla Rai gli consigliano di prendersi un po' di ferie e, al suo rietntro, viene sospeso per un anno in via cautelativa: la sua presenza può danneggiare l'immagine dell'azienda, gli spiegano. Sanzionato per violazione del codice etico (per una telefonata privata diffusa suo malgrado) viene trasferito sulla Salaria, proprio accanto al via vai di lucciole straniere, a occuparsi di sicurezza sul lavoro. E lì rimane. Lui ha inviato raffiche di rettifiche ai giornali, che non le hanno pubblicate, ha querelato per diffamazione quattro organi di stampa e diversi siti internet. Le cause sono in corso. Ma se «fai un Google» con il suo cognome, quello che trovi è riferito unicamente al colloquio boccaccesco con l'ex portavoce di Fini. Un danno enorme. Che si poteva evitare. Bastava rispettare il segreto d'indagine.