Bancarotta Roma

Il Campidoglio si è rivolto alle banche per far fronte a questa esposizione. Banalmente, si ricorre a un debito per ripagare il debito iniziale. Un meccanismo legale, è bene chiarirlo subito, che però ha mandato fuori controllo la contabilità sulla reale esposizione finanziaria in quanto una parte del nuovo debito è strutturato su contratti derivati. Proprio su questo punto il mistero contabile di infittisce. Il portafoglio del Comune di Roma è stato aggiornato e i crediti sui derivati sono stati rinegoziati ma sulle cifre reali si possono solo fare ipotesi. Il rosso del Campidiglio potrebbe essere ben superiore ai 6,8 miliardi dichiarati e superare i 10 miliardi. Tutto ruota intorno ai derivati: un problema che non riguarda solo l'amministrazione di Roma ma la maggior parte degli enti locali italiani che hanno ottenuto denaro dalle banche. Secondo le stime che circolano sul mercato, le perdite potenziali sui derivati degli enti locali italiani superano 10 miliardi di euro e possono arrivare, in base alle fluttuazioni dei tassi di mercato, oltre i 15 miliardi. «La ragione - spiega Nicola Benini, socio fondatore dell'Ifa di Verona, la prima società di consulenza che si è specializzata sui derivati - è che buona parte di questi prodotti non erano di copertura, bensì di trasferimento del rischio verso le imprese e gli enti locali. Spesso si fa ricorso a dei contratti quadro, magari di diritto inglese. Il problema sono le regole: in Lombardia da 4 mesi è cominciata una mappatura per riuscire a valutare l'entità complessiva dei contratti. Una cosa è certa: servirebbe una task force tra Corte dei conti, Bankitalia, Consob e consultenti per istituire un coordinamento in grado di svolgere una funzione di controllo». Il Campidoglio è in testa nella classifica degli enti locali che hanno emesso obbligazioni sul mercato, i cosiddetti Boc, buoni ordinari comunali. Strumenti che prevedono la restituzione del capitale un po' per volta. Qui entra in azione uno dei contratti derivato: il comune paga le rate sul piano d'ammortamento alla banca, che a sua volta costituisce un fondo dedicato che garantirà la restituzione del capitale a scadenza. Il Tesoro ha effettuato una verifica, delineando un quadro finanziario di seria sofferenza anche per mancanza di liquidità. Insomma, il rischio di portare i libri del Comune di Roma in Tribunale per dichiarare lo stato di insolvenza non è affatto scongiurato. A parte il nodo dei derivati, il denaro contante fatica ad entrare nelle casse di Palazzo Senatorio perché tanto la Regione Lazio quanto lo Stato, non pagano o tardano a conferire i trasferimenti dovuti al Campidoglio, costringendolo ad anticipare le spese per garantire i servizi. In più è ormai certo che verranno a mancare i 190 milioni attesi il 16 giugno per la prima tranche dell'Ici sulla prima casa abolita dal nuovo governo. Un'altra contestazione riguarda infine la contabilizzazione di entrate non strutturali: gli introiti, per intendersi, derivanti da multe e concessioni edilizie. Che però avrebbero un'incidenza davvero minima: un centinaio di milioni su un bilancio di 6 miliardi. Le agenzie internazionali Standard&Poor's e Fitch hanno peggiorato in negativo le prospettive dei rispettivi rating della capitale (A+/AA-), preoccupate per un indebitamento elevato in crescita e per l'incertezza sulle modalità di finanziamento di un ambizioso programma triennale di investimenti per svariati miliardi di euro. In molti vogliono vederci chiaro sui conti della Capitale. Dopo la verifica del Tesoro, la parola passa al sindaco Alemanno che dovrà cercare di sbrogliare la matassa attraverso gli uffici tecnici del Comune. «La mancanza di una normativa specifica - afferma il docente di Economia aziendale all'Università di Pisa, Alberto Tron - è aggravata dalla metodologia di contabilizzazione degli enti pubblici che non fa emergere, in alcun modo, gli impegni finanziari (a volte ingenti) assunti dagli stessi, e scadenti negli anni successivi, nei confronti di imprese bancarie e finanziarie. In attesa di recepire i principi contabili internazionali, sarebbe sufficiente introdurre un regolamento ministeriale che imponga maggiore trasparenza informativa in merito ai derivati assunti dagli enti pubblici».