Ora servono le infrastrutture per la gestione delle scorie
C'è di più. In Europa il nucleare è prima fonte di produzione elettrica, 33%, seguito dal carbone per il 37%. Dunque, o 27 Paesi europei sono gestiti da imbecilli oppure siamo noi ad essere indietro. Non ha dubbi Ugo Spezia, ingegnere nucleare segretario generale dell'Ain (Associazioni Italiana Nucleare) che raggruppa tutti i centri di competenza a livello accademico e di ricerca come Edison, Enel, Ansaldo, Sogin ed Enea. Il referendum dell'87 spezzò l'illusione dell'energia a basso prezzo, spense l'interruttore delle quattro centrali italiane di Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano lasciando un'unica eredità: le scorie nucleari. Gli altri Paesi hanno infrastrutture per la gestione dei materiali radioattivi mentre l'Italia ancora deve realizzarle. Strutture peraltro necessarie anche nei Paesi che non hanno centrali perché gli scarti del nucleare, circa il 50%, arrivano dall'industria e dalla ricerca. Si parla di scorie e di barre radioattive come di spauracchi. Eppure, spiega l'ing. Spezia, «i materiali che derivano dall'uso di energia nucleare sono per il 95% a bassa e media attività, il restante 5% del trattamento del combustibile è ad alta attività. Il 95% è la componente più gestibile, l'altra meno. I materiali a bassa e media densità vengono smaltiti in depositi controllati e dopo 300 anni non più radioattivi. Le scorie radioattive sono conservate presso gli stessi impianti proprio perché quantitativi limitati». Il combustibile nucleare irraggiato è ancora nelle centrali di Saluggia e Caorso ed andrà a La Hague per il trattamento. Dell'era nucleare italiana, spazzata via dalla tragedia di Cernobyl, non resteranno che 20 contenitori del diametro di due metri e alti 4 metri e mezzo, facilmente gestibili all'interno di un piccolo impianto che non è stato ancora realizzato e che sarà necessario al rientro, nel 2035. I francesi hanno dimostrato con il programma di ricerca "Atalante" che attraverso l'irraggiamento neutronico si può azzerare la lunga vita di quel 5% di scorie. «Per questo - conclude l'ing. Spezia - Francia e Usa hanno già un impegno a realizzare in 5 anni reattori che bruceranno questi materiali». E se i 300 anni di "vita" delle scorie sembrano tanti basti pensare che i composti chimici che escono dai camini termoelettrici, sono eterni. Insomma, le scorie radioattive non il diavolo.