A Napoli c'è aria di sommossa
Chi è in moto non può tenere «chillu coso», che poi è il casco. Che diligentemente va portato al braccio, tutt'e due le mani sul manubrio; il passeggero pure, deve tenere le mani in vista, sulle ginocchia. Vietate le moto enduro, le preferite dai killer. Ma anche dai poliziotti, 'e guardie fanno meno paura ma sono egualmente rispettate. Dunque, si svolta a destra. E se il Corso è pulito, i vicoli interni no. Cassonetti che eruttano sacchetti. Neri, bianchi e gialli. Gialli perché prelevati dal grande supermercato di zona. La caserma dei carabinieri è blindata, sembra disabitata (non è così), il portone è chiuso, un'auto parcheggiata fuori. Poco più avanti ci sono grandi cumuli che annunciano che ci si sta avvicinando al cuore della zona. Bambini giocano tra i rifiuti ammassati a terra. Non bisogna farsi ingannare, non sono bambini e non stanno giocando: sono sentinelle che annunciano l'ingresso di una moto non nota con due persone a bordo. La munnezza è tenuta fuori dall'area, dentro è relativamente pulito. È il Rione dei Fiori. Anche qui non bisogna illudersi perché di petali non se ne vede l'ombra e di profumi non se ne sente l'odore. Un tempo era il simbolo del degrado della città, oggi lo chiamano più semplicemente il «Terzo Mondo». È un rione di case basse, quattro piani, sembrano quadrate, cubi. Cubi di un grigio scuro, triste, lugubre. Spiega un ragazzo: «Chi vive qua dentro ha due possibilità: o esce pazzo davanti alla televisione, o l'altra». L'altra è 'o sistema, la camorra. E un lavoro onesto: «Sono meglio duecento euro al mese o cento alla settimana senza fa' niente», risponde 'o uaglione. Niente nomi, qui non si usa. Ci si addentra, c'è un signore che fa finta di fare il parcheggiatore abusivo, è il secondo livello di sorveglianza interna. Ed ecco la piazza, un po' rialzata, vi si accede con una rampa di scale: ha due ingressi. Davanti al primo ci sono tre ragazzi che parlottano in piedi, due hanno la tuta azzurra del Napoli. Sono i pusher. Lo si capisce dal fatto che hanno una sedia, significa che resteranno lì tutto il giorno. Altri due ragazzi, vestiti di scuro, sono all'altro ingresso. Nella piazza quadrata ci sono solo due strutture, una sulla destra è la sede del Comune, l'altra sulla sinistra è il poliambulatorio dell'Asl. Sono tornati. Gli spacciatori. Sono tornati alla grande, come i vecchi tempi prima della guerra di tre anni fa, guerra interna dai clan sedata dall'arrivo massiccio di polizia e carabinieri. Dopo due anni di fatturato zero sono tornati: non guerreggiano tra di loro, fanno tutto in modo più discreto. Per vedere bisogna far finta di entrare in un palazzo, non si può venire solo per scrutare. È un sottile gioco, si guarda ma non con gli occhi; si può guardare ma con il naso, la bocca, le orecchie, non si può incrociare lo sguardo altrui. Via di nuovo in moto, via Zanardelli sembra un vicolo come gli altri. Non lo è. Non c'è una carta a terra, due cassonetti puliti. A metà strada una palazzina sulla destra ha la facciata pulita, le piastrelle decorate. È la casa di Ciruzzo 'o milionario, Paolo Di Lauro, il boss dei boss, uno dei più grandi trafficanti di droga del mondo: è stato arrestato anni fa. Di fronte la palazzina è gialla, i balconi bianchi, una carrozzeria al pian terreno: è la favolosa abitazione del figlio di Ciruzzo, era l'erede, anche lui dietro le sbarre. Erano stati sconfitti, debellati, le strade ripulite di questi fetidici trafficanti di morte. Se le sono riprese. In modo più discreto, ma se le sono riprese. E hanno anche tolto i sacchetti. Più avanti ci sono le Case dei Puffi, le chiamano così perché è l'altro rione di palazzine: sembra disegnato da un pusher, fatto a posta per spacciare con le piazze con solo due ingressi. Uno per entrare, uno per fuggire. E basta. Altrimenti il controllo sarebbe difficile. Droga e munnezza. Non c'è una connessione diretta ma a Napoli le istituzioni hanno collassato. Se a Shengzen nei primi anni Ottanta Deng Xiaoping fece i primi esperimenti di capitalismo cinese, all'ombra del Vesuvio l'Occidente sta provando forme di anarchia autorganizzata. La camorra s'è ripresa le sue zone e i suoi commerci. Al centro, la borghesia non ne può più della puzza e protesta. In via Andrea d'Isernia, la via del liceo scientifico del ceto medio, ieri mattina pieno centro, la moglie del salumiere s'è sentita male per la spazzatura, è stata portata in ospedale. Gli altri negozianti per solidarietà hanno inscenato una protesta rovesciando i cassonetti. Ecco, il nuovo sistema per far rimuovere la monnezza è rovesciarla per strada, fare barricate, blocchi stradali. Solo così le istituzioni sono costrette a intervenire. I potenti comandano, i clan hanno i loro metodi, chi è in mezzo adotta il «si salvi chi può». È un escamotage importato da fuori, dalle periferie martoriate. Casoria, la zona industriale, oltre il confine di Secondigliano. Davanti le fabbriche ci sono sacchetti dai quali fuoriescono verdure e bucce di banana: vengono dal centro, li portano qua giù per non avere le montagne di rifiuti fino al primo piano. Così hanno fatto anche a Casavatore, dove pure hanno chiuso una strada mettendo i cassonetti di traverso per costringere il Comune a ripulire. Oppure ci sono i roghi. Te ne appicco uno così i vigili del fuoco sono costretti ad arrivare di corsa. Piove sulla città, e la pioggia fa scendere le temperatura e si sente meno puzza. Ma non basta. C'è aria di sommossa a Napoli. Anzi, pre-sommossa. Sommosse singolari, particolari, di gruppetti, condomini che s'organizzano come possono, pezzi di strada. Ma non ribellioni, non c'è un Masaniello. Sono gesti individuali che non hanno seguito. In assenza dell'istituzione ognuno fa da sè. Non mi stanno bene i rom? Mi organizzo e vado a compiere un bel raid. Se fosse avvenuto a Secondigliano, le forze dell'ordine sarebbero dovute intervenire a difesa degli zingari. Continuano i roghi, dietro non c'è una regìa della camorra. I clan si muovono soltanto se fiutano il guadagno, e per ora ancora non l'hanno intravisto. No, i piccoli incendi sono segnali di esasperazione, messaggi infilati nelle bottiglie della disperazione. È una città che bolle quella che si ritroveranno Berlusconi e i suoi ministri oggi. Un magma vulcanico, vesuviano. Una città sfuggita al controllo. Lo sforzo di questi giorni è stato disumano, l'Asìa, l'azienda pubblica ambientale, ha messo in campo anche delle piccole gru per rimuovere la spazzatura. Tutto il giorno, ovunque. Ma non basta. Il Cavaliere sarà accolto da umori contrastanti. Sicuramente è l'ultima speranza per chi vive da queste parti. E infatti qualcuno ha fatto affiggere in tutta la città il manifesto con tre parole una sull'altra: «Berlusconi santo subito», anche se si è premurato ieri di far aggiungere anche una piccola frase: «Se ci libera da rifiuti e criminali». Ma c'è anche chi ha messo un cartello sopra un cassonetto stracolmo con la scritta a pennarello: «Berluscò, mo' so' cazzi dei tuoi». E già, il premier si gioca una partita più ampia di quella che immaginava quando promise in campagna elettorale che sarebbe venuto in città e non se ne sarebbe più andato fin tanto che il problema non si fosse «avviato a soluzione». Avviato, disse. Ma intanto il carrozzone mediatico che s'è mosso ha dilagato, sono oltre cinquecenti i giornalisti accreditati a seguire il Consiglio dei ministri di oggi che prenderà decisioni certo, ben difficile che possano essere risolutive (il termovalorizzatore di Acerra è in via di realizzazione e sarà affidato a trattativa privata a milanesi e bresciani per portarlo a regime). D'altro canto l'ultimo che ha promesso soluzioni in 24-48 ore è stato nel gennaio scorso un signore che si chiama Romano Prodi, che adesso la mattina va ai giardinetti con i nipotini.