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Ora pulisce la camorra

Napoli

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La gente che esce dalle case, prova a far finta di nulla, cerca la sua quotidianità. E spera. Aspetta e spera che arrivi qualcuno da fuori. Napoli sembra così. Come dopo un bombardamento. Polverosa. C'è foschia. Del Vesuvio, il gigante addormentato, si scorge appena il profilo. Capri non si vede, Sorrento neppure. Il mare è un olio, calmo. Una calma irreale. Una calma da preludio. Si sveglia così la città dopo un altro dei week end tragici della sua storia recente. Il dramma dei rifiuti che, come un drago che sembrava sconfitto, si risveglia, si rialza, sputa fuoco. Sputa monnezza. Si comincia da qui, dal mare. Dal lungomare. Il mezzo migliore per girare a Napoli resta la Vespa. Ma non la nuova stile Colaninno. No, quella vecchia, la vecchia cara Px. Indistruttibile, resistente a qualunque buca. Casco ben allacciato, occhiali da sole, via Piedigrotta. C'è il primo cumulo e un cartello ironico scritto da una mano anonima con un pennarello: «Alimentari Iervolino, super offerta: 5 kg di monnezza a 1,50 euro». Almeno si riesce anche a sorridere. Via Posillipo, qui l'emergenza la vedono in tv. Due cassonetti della raccolta differenziata, come colonne d'Ercole, danno il benvenuto. La via striscia come un serpente lungo la verde collina. Solo qualche foglia a terra. Come Zurigo. A metà strada c'è la casa di Antonio Bassolino, un palazzo borghese. Due cassonetti puliti annunciano che ci si sta avvicinando all'abitazione del Governatore, altri due nello stesso stato subito dopo il portone comunicano che si sta lasciando l'area. Si respira. Sulla discesa che porta a Riva Fiorita c'è un contenitore pieno poco prima di Villa Rosebery, residenza del presidente della Repubblica. Ma è poca roba. Si scende verso Bagnoli, ricompaiono i sacchetti. Era il collegio in cui venne eletto nel '94 Giorgio Napolitano, e due anni dopo Rosa Russo Jervolino. Zona rossa, l'Italsider in dismissione. Via Napoli, verso Pozzuoli, il barista dello chalet Zenith, dove venne ucciso lo zio del boss D'Ausilio che aprì la faida dieci anni fa, si fa pulizia da solo. Camorra perdente, ci sono i cumuli. Se ci si addentra la situazione non migliora. Piazza Salvemini, c'è la storica sezione dei Ds oggi Pd: è una discarica; la piazza, ovviamente. Ci si può togliere il casco, ma è bene tenerlo legato al braccio. Più avanti c'è la sede della Nato, poi comincia Fuorigrotta. Ci sono i posti di blocco e spazzatura ovunque. S'è ripulito poco. Fa caldo, e il caldo fa marcire i rifiuti. Puzzano. Puzzano tanto. È la novità di questa crisi. Quella di gennaio, con il freddo, non aveva generato olezzi; quella era più leggera. Ora no, c'è puzza e ci sono i topi. I topi mordono alle caviglie, fisicamente. Per questo stavolta non c'è rassegnazione, ma disperazione. Aria di sommossa. Inizia la galleria che riporta al centro, bisogna rimettersi il casco, ricomincia la legalità. Sul lungomare non ci sono rifiuti, i ragazzi guadagno la scogliera per prendere il sole che non c'è. Divorano a ora di pranzo le pizze comprate dall'altra parte della strada.  Tratto finale dia via Partenope, da «Nas 'e can» (naso di cane), che vende taralli, la signora spiega: «Munnezza qua? No, qua ci stanno 'e piezz gruoss», ci sono i pezzi grossi. E indica dall'altra parte. Borgo Santa Lucia, c'è la Regione, un gioiellino. I cassonetti sono in legno e cemento satinato, sembrano quelli di villa Certosa, la residenza berlusconiana in Sardegna. Niente rifiuti. Il salotto buono della città è pulito. La monnezza aveva invaso anche la Riviera di Chiaia, il lato interno del lungomare, piena city. Le proteste dei giorni scorsi e i potenti che hanno alzato la voce hanno costretto gli amministratori a intervenire subito. I rifiuti sono così, un grande problema che avverti solo quando è sotto il tuo naso e senti quell'odore acre e dolce che ti scava la gola. La classe dirigente napoletana per anni ha cantato le lodi del «rinascimento partenopeo», ora sente che il vento tira diversamente e sputa su don Antonio. E già, altrimenti che classe dirigente sarebbe? Se fosse diversa non ci sarebbe questo guaio da risolvere. Il centro è pulito. S'imbocca Corso Umberto, l'università, torna qualche cumulo. Compare un manifesto, solo tre parole: «Berlusconi santo subito». Il Borgo degli Orefici, si paga pizza e bibita cinque euro. I rifiuti tornano pochi. Più ci si avvicina a via Duomo, la strada dove abita il sindaco Iervolino, più spariscono i sacchetti. Forcella, regno dei Giuliano, la famiglia camorristica che aveva spesso ospite Maradona. Bisogna togliersi il casco e togliersi anche gli occhiali da sole. È necessario mostrare dove si guarda, ed è meglio non guardare nessuno. Dedalo di vicoli, budella di stradine, labirinto di sanpietrini. Strada e marciapiede sono un'unica cosa. Una sola regola: andare piano, può sfrecciare solo chi è di casa che qui si può permettere di tutto. C'è puzza, ma è una puzza normale. La puzza di Marrakesh, le spezie africane come il ragù partenopeo. Si volta l'angolo e ci si arrampica verso il vecchio tribunale di Castelcapuano, la camorra non si spinge fin lassù anche per una sorta di antico rispetto. E riecco i cumuli. L'olezzo. Bruciano gli occhi. La stradina riporta giù, Porta Capuana. L'inferno. Rifiuti, puzza. Ci sono stati i roghi, si vedono ancora i resti. Nessuno li ha tolti. La mattina scorre lenta. Visto che lo schifo non basta mai, è stato proclamato all'improvviso uno sciopero dei mezzi pubblici. Piazza Garibaldi è una bolgia, traffico impazzito, macchine che spostano a suon di paraurti i cassonetti rovesciati. Rumori, confusione. Comincia Corso Novara e la monnezza va via via crescendo. Bisogna rimettersi il casco, ricominciano i posti di blocco delle forze dell'ordine. A piazza Carlo III, dominata dal grande Palazzo Fuga (una copia dell'edificio Reina Sofia di Madrid, lì è conservata la Guernica, qui la guerra civile è fuori, per strada), due volanti della polizia sorvegliano l'andamento. Si sale verso Capodichino, il trambusto. Un megaposter annuncia che a breve ci sarà al teatro Bolivar un concerto di Franco Ricciardi, un cantante che da queste parti è ben più conosciuto di Jovanotti. Chi è in motorino suona il clacson come a farsi annunciare, come per avvertire del proprio passaggio, meglio mettersi in guardia. Svolta sinistra, comincia Corso Secondigliano, strada larga con due ali di palazzetti bassi e degradati. Tanti negozi. Camorra vera, forte e dominatrice. Non si paga il pizzo. I sacchetti scompaiono d'incanto. Ma ricompaiono duecento metri più avanti, incrocio con Scampìa. A destra è terra degli scissionisti, a sinistra del clan Di Lauro. Via Bakù, la famigerata, il teatro della guerra di tre anni fa. Qui la camorra è stata sconfitta. Viali ampi, il degrado, l'erba non tagliata, la sporcizia. Come la periferia di Bucarest. Niente casco, vietato indossare gli occhiali, procedere con cautela. Nelle rotonde, qui le chiamano le «piazze», sono tornati i pusher e le sentinelle dei boss. Ti guardano e ti squadrano con un'occhiata. La legge è non incrociare i loro occhi, è segno di sfida, si tira dritto. Monnezza ovunque. Le Vele, i palazzoni osceni dell'urbanizzazione comunista. Hanno appena girato «Gomorra». Monnezza e ancora monnezza. Via Cacciotti, qui ci sono i nuovi alloggi popolari, ognuno ha fatto quel che voleva. C'è anche chi s'è fatto il balcone in stile dorico, bianco candido nel grigio della facciata. E ci sono grattacieli di quattordici piani, un'infinità di scale, pareti interminabili di cemento e abbandono. Per strada ci sono «i bancarielli» che vendono ufficialmente dvd di contrabbando: l'offerta del giorno è «prendi tre a dieci euro». Si spaccia di tutto. La cocaina low cost, quella a dodici euro, di nuovo eroina. Crack e le nuove sintetiche. «Qui si sta meglio, il vero disastro è più avanti. Piscinola, Casoria. Là stanno 'na merda», dicono i ragazzini che sfrecciano sulle minimoto enduro a due tempi. È vietato fare incidenti, la norma è che tu forestiero qui hai sempre torto. Comunque. Via Labriola, monnezza. Poi s'imbocca via Gran Sasso, via Monterosa, via Gran Paradiso, le case sono palazzine basse, le vie pulite, sacchetti non se ne vedono. Ti dicono: «Lì abitano quelli del Comune». E anche in questi inferi c'è chi sta un po' più all'inferno e chi un po' meno. Fabrizio Dell'Orefice

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