Epifani prova a convincere la Fiom, nuova sconfitta
Non c'è riuscito. Due i documenti votati, quello di Fausto Durante a favore del rafforzamento del secondo livello di contrattazione e quello del segretario Fiom, Gianni Rinaldini, tenacemente abbarbicato al primato del contratto nazionale, baluardo dell'egualitarismo tout court che, di fronte alla globalizzazione, risulta miope nel non scorgere la precarietà del lavoro, il merito in azienda e le differenti condizioni delle aree del Paese. Una frattura interna alla Cgil fra componente riformista (molto più presente di quella rappresentata all'esterno) e la massimalista che non riesce a trovare sintesi, oggi più che mai necessaria. Nella gravità della situazione economica «se non si va al confronto con Confindustria e Governo con un sistema di regole unitarie - ribadisce Epifani - c'è il rischio dello shopping contrattuale, dove le aziende decideranno quali regole applicare e noi non decideremo più nulla». D'altro canto Luigi Angeletti, segretario Uil, aveva rassicurato Cremaschi (Fiom) di non volere barattare il contratto nazionale col secondo livello, ma di incentivarlo per rendere più pingue il salario e farlo costare meno, con meno tasse a carico. Una riforma della contrattazione di secondo livello già presente nel protocollo del 1993, finora disattesa e in ritardo di vent'anni anche a causa delle burocrazie sindacali professioniste che non volevano perdere il potere a favore dei sindacati territoriali e aziendali. «Ma sono proprio queste strutture - è opinione di Franca Porto, segretaria Cisl Veneto- ad incarnare le differenze del contesto sociale, culturale, produttivo, geografico e in grado di dare risposte a domande differenziate. Un esempio è il Veneto, con un insediamento di manifatturiero tradizionale che necessita di strumenti e risorse per sostenere un Welfare per i 50enni espulsi, che possono essere meglio ricollocati nel territorio, ma con un sindacato regionale che possa utilizzare autonomamente quote di ammortizzatori sociali destinati anche alla formazione dei giovani, all'apprendistato o ad esperimenti per l'inserimento di donne nelle linee produttive, come avvenuto alla Laverda e investire sui delegati e sulle delegate nei luoghi di lavoro, come grimaldello per il cambiamento. Una sorta di federalismo sindacale come quello fiscale della Lega, per ridare senso alla vocazione sindacale, oggi in crisi».