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Fabrizio dell'Orefice [email protected] Dialogo sì. ...

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Almeno quelle con il suo interlocutore, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Sono prove di dialogo quelle che vanno in campo, è il caso di dirlo, al Foro Italico in un incontro organizzato da Formiche e Lottomatica dal titolo «Le partite del nostro tempo». È un D'Alema pimpante quello che si presenta a uno degli eventi collaterali degli Internazionali di tennis. Confessa che, lasciato l'incarico, «non è vero che si vivono momenti di depressione, tutt'altro: governare il Paese è angoscioso, dopo ci si sente risollevati». Si lascia andare all'analisi: «Negli ultimi quindici anni c'abbiamo provato un po' tutti a governare il Paese» ma quando si è al comando «si avverte un senso di solitudine e di impotenza, da soli non ce la si può fare». Per questo occorre «una comune assunzione di responsabilità», per riuscire a «dare una spallata al Paese». Insomma, anche per l'ex ministro degli Esteri serve un filo che unisca maggiorana e opposizione. Ricorda: «Quando ho presieduto la Bicamerale per le riforme, davanti a noi è sfilato il Paese. Abbiamo audito i sindacati, i magistrati, le imprese. Tutti dicevano che era assolutamente urgente cambiare l'assetto del Paese. Tutto, ma non quello che gli competeva. Il Consiglio di Stato trovava assolutamente perfetto che lo stesso organismo consigliasse il governo a fare le leggi e magari le potesse anche giudicare. Per carità, per loro era il sistema più perfetto del mondo. Per non parlare degli ordini professionali». E parte il primo affondo: «Non appena abbiamo promosso delle modifiche la destra li ha spalleggiati nel non voler cambiare nulla». Tremonti non demorde: «È arrivato il momento di fare insieme le grandi riforme». Ma D'Alema avverte: «Volemose bene non mi pare uno slogan efficace ma avere rapporti corretti tra maggioranza e opposizione è un fatto di civiltà. Io sono stato il primo a pagare un prezzo per il dialogo ai tempi della bicamerale, bisognerà vedere a questo punto se si tratta solo di uno stile nuovo o se è un fatto che porterà a cose positive». Eppure, proprio a D'Alema era toccato intrattenere il pubblico sui massimi sistemi in attesa che arrivasse Tremonti impegnato in una riunione sull'Ici: «Lo scuso». E in sua assenza si era anche lasciato andare: «È uno dei migliori ministri in Europa». Si esce dalla stretta quotidianità. Tremonti declina il nuovo dizionario: A come agricoltura visto che «si sta tornando a ricoltivare i campi», b come bonus o come bond europei. Anche D'Alema la prende alla larga ma poi non resiste e punge di nuovo: «Dopo il 1989 si pensava che il mercato avrebbe fatto tutto. La destra diceva che non c'era bisogno dlela politica e la sinistra, per eccessiva subalternità, non ha contrapposto nulla». E, invece, no «alla globalizzazione: servono regole e istituzioni, serve la politica». Il ministro dell'Economia non ci sta: «Un parte della sinistra governista è stata troppo mercantista. L'import e l'export non è tutto, lo dimostrano le proteste alla fiaccola olimpica». D'Alema risponde per le rime: «Il Paese ha bisogno di coesione sociale». Tremonti sbotta: «Se continui così resterete all'opposizione altri venti anni». E l'ex vicepremier se la prende: «Tutti quelli che vanno al governo pensano di restarci venti anni, poi alle elezioni puntualmente perdono. Chi perde le elezioni in Italia non deve fare nulla, deve solo aspettare le prossime urne». Tremonti ride: «Ma io non ho detto che resto al governo venti anni, penso che sei tu che ti farai due decenni di opposizione». Et voilà, il dialogo è già naufragato.

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