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La politica dei sorrisi. Berlusconi: "Il dialogo se pò fa"

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Berlusconi e Veltroni

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Ieri, alla replica alla Camera prima del voto di fiducia, e poi al Senato, Berlusconi a sugellare l'avvio del dialogo con Veltroni gli ha fatto addirittura il verso («Se pò fa») e poi i due si sono stretti la mano in mezzo all'Aula, suscitando più di un interrogativo nella maggioranza e numerosi sospetti nell'opposizione. Che sia melina o sostanza si vedrà, al momento Berlusconi sembra intenzionato a aprire una nuova fase, una sorta di terza Repubblica marcatamente riformista. Nei dodici minuti di replica a Montecitorio e nel quarto d'ora al Senato, scanditi da numerosi applausi, il premier rilancia la sfida al dialogo e al confronto, che non è «solo per una questione di galateo politico, ma di comune assunzione di responsabilità, perchè nella situazione difficile in cui ci troviamo, nessuno può sottrarsi». E poi: «Non abbiamo timori nè pregiudizi di fronte a un'opposizione che faccia proposte chiare». E elenca i temi su cui sono possibili le convergenze: l'emergenza rifiuti che «non è nè di destra nè di sinistra ma solo un atto doveroso»; le tasse se affrontate nella logica ribadita anche da Veltroni in campagna elettorale del «pagare meno e pagare tutti» e non «con l'intenzione di far piangere i ricchi». Il premier indica un altro segno del cambiamento: «Se l'opposizione oggi non si definisce più dirigiste e statalista, noi non siamo più quelli della rivoluzione liberista degli anni Ottanta». Berlusconi mette anche in chiaro che non smantellerà quello fatto da Prodi a cominciare dalle pensioni: «non lo faremo». Anche nel pacchetto sicurezza allo studio del governo «ci sono proposte chieste dall'allora sindaco di Roma Veltroni». Alla fine, su questo pacchetto «non escludo un dissenso, ma una cosa è un dissenso argomentato, altra cosa è fabbricare caricature propagandistiche delle proposte del governo». Annuncia che il decreto sulla sicurezza che sarà presentato nel prossimo Consiglio dei ministri è quasi pronto. Fa anche l'esmpio dei numerosi «sindaci di sinistra che per afrontare la criminalità hanno preso provvedimenti nella stessa direzione dei nostri». E poi anche su quei temi su cui ci potrebbe essere dissenso come il Ponte sullo Stretto il punto di contatto è che «bisogna risolvere insieme il problema delle infiltrazioni della criminalità». E sulla detassazione degli straordinari, criticata in aula da Pierluigi Bersani, Berlusconi spiega che «alla fine una decisione sarà presa» e sarà dettata «dalla volonta di aumentare i salari e le pensioni minime». Infine la Rai «dopo una guerra quasi ventennale, deve diventare terreno di dialogo». Insomma ci sono «tutte le condizioni per cambiare registro e impegnarci in una grande rivalutazione della politica e del suo significato di servizio per i cittadini». Ammette le difficoltà, «so che non sarà facile ma siccome sono un ottimista credo che se lo vorremo davvero e tutti insieme, come direbbe il principale esponente dello schieramento a me avverso, se pò fa, ce la possiamo fare». In Senato poi ha ripreso le parole del Papa: «Compito del governo, del Parlamento e dell'intera politica è semplicemente di non smettere mai di lavorare per il bene comune dell'amata nazione italiana». Il dialogo riguarda anche le parti sociali. Non parla di concertazione ma assicura che «eviterà sempre lo scontro sociale». Veltroni raccoglie la mano tesa di Berlusconi e fa sapere: «Non pensate di avere il Paese in mano. Voteremo contro il suo governo ma convergeremo su ogni scelta che potrà rendere l'Italia più forte, più sicura, più equa». Annuncia «un'opposizione alternativa, seria e responsabile» e rivendica al Pd «il merito di aver introdotto discontinuità rispetto alla doppia malattia della frammentazione politica e della demonizzazione dell'avversario». Anche l'altro esponente del Pd Enrico Letta rilancia il dialogo: «Le parole sono un buon viatico. Siamo pronti al dialogo a partire dai fatti». Il clima di distensione emerge anche dalla mimica facciale. Berlusconi durante l'intervento del senatore del Pd Enrico Morando, prende appunti diligentemente e, soprattutto, simula un sì con la testa quando Morando chiede che venga riconosciuto il Governo ombra, con una sorta di statuto dell'opposizione. In precedenza lo stesso Morando aveva applaudito il premier al termine del suo discorso. Al termine della giornata il governo Berlusconi ottiene la fiducia della Camera con 335 sì, 275 no, un astenuto. La maggioranza richiesta era di 306.

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