L'ambiente sarà il nuovo motore dello sviluppo
Anche io, seppure, inevitabilmente, sospettabile oggi di «conflitto di interessi», sono dell'idea che la proposta fosse errata. Ma la provocazione era interessante e gli argomenti usati per molti versi condivisibili. Sono d'accordo con Arditti quando condanna la «cultura dei no» che per molto tempo è stata, ed in certi settori ancora è, la cultura prevalente dell'ambientalismo. Credo però che bisogna storicizzare quella cultura, comprenderla e superarla. Storicizzarla perché è nata in un tempo in cui si opponeva ad una «cultura del sì» indiscriminato che ha partorito non tanto e non solo alcuni madornali «ecomostri», ma soprattutto un lungo e indiscriminato abuso dell'aria, del mare, del territorio e delle sue risorse. Oggi quella cultura non ha ragione di esistere. L'Italia è una paese con una normativa antinquinamento e di tutela dei beni ambientali assolutamente seria e restrittiva. E, come sempre accade nell'autunno delle ideologie, assistiamo spesso ad eccessi contraddittori, come quelli che bloccano ogni tipo di impianto (anche quelli che dovrebbero servire a migliorare la qualità dell'ambiente come termovalorizzatori o rigassificatori) in forza della cosiddetta sindrome «Nimby» (Not in my backyard, non nel mio giardino). Sono fermamente convinta invece che si possa e si debba aprire una fase in cui sviluppo ed ambiente non siano contrapposti ma invece due facce della stessa medaglia. Ma siamo anche in periodo problematico in cui bisogna fare scelte e ridiscutere certezze. Penso al dibattito in corso sui bio-carburanti — che sono sì ecologici, ma impongono l'uso di enormi quantità di cereali e l'impiego di sterminati spazi di coltivazione — o sul nucleare di ultima generazione che viene indicato da settori dell'ecologismo nazionale ed internazionale come l'antidoto più efficace all'energia prodotta dai carburanti fossili, causa dell'effetto serra. E siamo anche in una fase in cui deve crescere la responsabilità personale di ciascuno noi su questi temi, perché passano dal risparmio energetico, dalla raccolta differenziata, dalle scelte individuali adottate per la mobilità, le possibilità di costruire nel nostro paese quello «sviluppo sostenibile» che appare sempre più non come una opzione ma come l'unica possibilità di sviluppo. In questo ambito sono senz'altro d'accordo che non ci sia bisogno di un «mister no», con tanto di dignità ministeriale. C'è invece bisogno di una regia capace di spingere l'Italia sulla strada delle soluzioni più innovative, delle scelte più moderne, delle tecnologie più avanzate, perché con il petrolio a 125 dollari a barile è il vecchio modello di sviluppo ad essere diventato insostenibile «a prescindere». Se il Ministero dell'Ambiente saprà assumere questo ruolo di proposta, di indirizzo, di formazione culturale coinvolgendo la classe produttiva ma anche il popolo dei «nimby», sarà utile al paese. Altrimenti, se l'Italia non riuscirà ad imboccare il sentiero, stretto ma inevitabile, dello sviluppo sostenibile credo che i problemi saranno molti e gravi. E l'esistenza o meno di un ministro per l'ambiente solo un dettaglio. *Ministro dell'Ambiente